Di AndnKronos
20 giugno 2024 – Che futuro avrà la previdenza sociale in Italia, anche alla luce della crisi demografica? Quando e che pensione avremo? Sarà ancora possibile vivere dignitosamente senza una pensione integrativa?
Importanti indizi sono arrivati oggi, 20 giugno, dal Presidente del CIV (Consiglio di Indirizzo e Vigilanza) dell’Inps (Istituto nazionale della previdenza sociale) Roberto Ghiselli, che ha riferito alla Commissione parlamentare di controllo sull’attività degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza sociale.
Questo evento si inserisce nell’ambito dell’Indagine conoscitiva sull’equilibrio e i risultati delle gestioni del settore previdenziale allargato, focalizzandosi sulla transizione demografica, l’evoluzione delle professioni e le dinamiche del welfare integrativo, sempre più importante per garantire un futuro pensionistico di milioni di italiani.
All’interno dell’Istituto nazionale di previdenza, il Consiglio di Indirizzo e Vigilanza svolge funzioni cruciali di indirizzo strategico, programmazione e vigilanza, approvando inoltre il bilancio e altri atti connessi, come i piani pluriennali.
Nel suo intervento, Ghiselli ha delineato i principali punti relativi al bilancio dell’Inps, che sarà sottoposto all’approvazione il prossimo 16 luglio. Dalle sue parole è possibile intravedere il futuro pensionistico e di assistenza del Belpaese.
I numeri della previdenza
Parlando di bilancio, le entrate complessive per il 2023 ammontano a 536 miliardi di euro, con un incremento significativo delle entrate contributive (+5,1%) e dei trasferimenti dalla fiscalità generale (+3,3%) rispetto al 2022.
Le uscite per le prestazioni istituzionali sono state di 398 miliardi di euro, +4,55% rispetto all’anno precedente, principalmente per l’incremento delle spese per l’Assegno unico universale e degli sgravi contributivi.
La struttura finanziaria dell’Inps risente dell’andamento del Paese. Infatti, gli aspetti chiave del bilancio evidenziano una stabilità nelle entrate contributive e un aumento delle spese socio-assistenziali, segnando un cambiamento significativo nella struttura finanziaria dell’Istituto.
Queste dinamiche richiedono una gestione attenta e una strategia coesa per garantire la sostenibilità del sistema previdenziale nel contesto economico e sociale attuale.
«Lo scorso anno – ha spiegato Ghiselli – la spesa pensionistica è stata pari a 304 miliardi, con un incremento rispetto all’anno precedente del 7,4%, incremento determinato sostanzialmente dalla rivalutazione delle pensioni a fronte dell’impennata inflazionistica che si era registrata l’anno precedente».
«A livello di bilancio dei singoli fondi, si conferma la positività del fondo gestione separata, quello dei lavoratori dipendenti privati, sia per quanto concerne le prestazioni pensionistiche che quelle temporanee, mentre, in misura differenziata, evidenziano una negatività i fondi dei lavoratori autonomi e dei dipendenti pubblici». Nodo, quest’ultimo, cruciale per la gestione amministrativa efficace del Paese, a partire dagli Enti locali.
Prospettive di medio e lungo termine
Le previsioni di medio e lungo termine, basate sul Bilancio tecnico del 2023, prospettano difficoltà crescenti per l’Inps fino al 2032.
I numeri sono impietosi: complice la denatalità e l’allungamento dell’aspettativa di vita, l’andamento patrimoniale dell’Istituto dovrebbe passare da un +23 miliardi di euro nel 2023 a un passivo di -45 miliardi di euro nel 2032.
Queste proiezioni implicano un aumento del costo delle prestazioni assistenziali e di sostegno, che secondo le stime dovrebbe passare da 148 miliardi nel 2023 a 182 miliardi nel 2032.
Con un successivo comunicato, l’Inps precisa che questo scenario di medio e lungo periodo potrebbe prendere forma solo in assenza di efficaci politiche di contrasto e sottolinea «come anche in passato previsioni altrettanto pessimistiche non hanno trovato riscontro nell’orizzonte temporale evidenziato».
Nel contesto delle proiezioni a lungo termine sul rapporto tra spesa pensionistica e PIL, fino al 2052, emergono dinamiche complesse caratterizzate da un andamento sinusoidale. Questa curva mostra una tendenza decrescente nei prossimi anni, soprattutto a causa dell’anticipo di pensionamento delle generazioni che hanno aderito a Quota 100 e alle successive Quote, nonché dalle restrizioni introdotte per la flessibilità in uscita nelle recenti manovre di bilancio.
A titolo esemplificativo, nel 2023 il numero totale di pensioni liquidate è stato di 837.399, in calo rispetto alle 878.024 dell’anno precedente, segnando una riduzione di 40.000 pensioni. Anche nel 2022 si era registrata una diminuzione di circa 27.000 pensioni rispetto all’anno precedente. Questo trend è destinato a invertirsi, soprattutto con l’uscita dal mercato del lavoro delle restanti coorti dei baby boomers, un fenomeno non bilanciato adeguatamente dai nuovi ingressi nel mondo del lavoro, che a loro volta sono influenzati dalla contrazione della natalità.
L’inversione di tendenza nell’incidenza della spesa pensionistica raggiungerà un picco intorno al 2040, attestandosi al 15,5% del PIL, per poi diminuire rapidamente fino al di sotto del 14% al termine del periodo considerato. Queste proiezioni derivano dai sistemi di misurazione attualmente utilizzati dall’Istat e dalla RGS, conformi ai criteri comunitari. Tuttavia, rimane aperta una controversia su come classificare le diverse voci di spesa pensionistica – se previdenziali, assistenziali o fiscali.
Rapporto tra lavoratori e pensionati
Uno dei punti critici discussi durante l’audizione è stato il crescente divario tra il numero di pensionati e di lavoratori attivi, accentuato dalle tendenze demografiche.
Secondo il Bilancio tecnico presentato da Ghiselli, nel periodo considerato, è prevista una riduzione del rapporto tra iscritti e pensionati, sebbene in misura moderata, passando dal valore di 1,45 del 2023 al 1,41 del 2032.
Vi sono però notevoli differenze tra i settori: per i lavoratori dipendenti privati, ad esempio, il rapporto addirittura aumenterebbe leggermente, passando da 1,63 a 1,65, mentre si registra una diminuzione nelle gestioni dei settori pubblici e dei lavoratori autonomi.
Anche la Gestione separata, pur mantenendo un alto rapporto di lavoratori iscritti rispetto alle pensioni erogate, subirà una significativa diminuzione di questo rapporto, passando da 2,7 a 2,1 nel momento in cui un numero maggiore di persone iscritte a questo fondo “giovane” raggiungerà i requisiti per il pensionamento.
Queste dinamiche evidenziano la complessità della gestione futura del sistema previdenziale italiano, che dovrà affrontare sfide demografiche e strutturali significative. È essenziale adottare strategie integrate e sostenibili per garantire la stabilità e l’equità del sistema nel lungo periodo.
Che pensione avremo?
I dubbi sul se prenderò la pensione, in Italia si accompagnano al quando e al quanto prenderò di assegno pensionistico. La risposta rischia di essere molto deludente soprattutto in un contesto, come quello italiano, l’aumento dell’inflazione non viene bilanciato dall’aumento salariale. Secondo le previsioni del Bilancio tecnico, il rapporto medio tra il valore delle pensioni e le retribuzioni rimarrà sostanzialmente stabile nel decennio, passando dall’0,64 allo 0,67.
Ghiselli fa notare che le previsioni iniziali sul tasso di sostituzione, fatte al momento dell’introduzione del sistema contributivo con la “Riforma Dini”, prevedevano condizioni di uscita più favorevoli rispetto a quelle attuali, in particolare con la successiva “Legge Fornero”.
La Riforma Dini, ad esempio, consentiva una flessibilità nell’uscita pensionistica con requisiti che variavano dai 57 ai 65 anni, con almeno 20 anni di contributi e una pensione minima pari a 1,2 volte l’importo dell’assegno sociale. Oggi, con l’indicizzazione automatica dei requisiti anagrafici alla speranza di vita, chi si pensionerà nel 2040 dovrà avere almeno 65 anni e 1 mese di età, con 20 anni di contributi indicizzati, e riceverà una pensione pari a 3,1 volte l’assegno sociale, o dovrà aver versato contributi per 43 anni e 11 mesi per la pensione anticipata, indipendentemente dall’età. Per la pensione di vecchiaia nel 2040, si prevede un requisito di 68 anni e 1 mese.
Da ciò si deduce che l’adeguatezza delle future pensioni dipenderà principalmente dalle condizioni lavorative e reddituali accumulate durante la carriera, più che dal sistema di calcolo pensionistico in sé. Il rischio di un’inadeguatezza diffusa dei futuri trattamenti pensionistici potrebbe essere legato alla discontinuità nel lavoro, ai bassi livelli di reddito e all’irregolarità nei rapporti di lavoro.
Concludendo il suo intervento, Ghiselli ha sottolineato l’importanza di politiche strutturali mirate che possano sostenere la crescita economica e il mercato del lavoro. Ha enfatizzato la necessità di rafforzare l’infrastrutturazione digitale, promuovere la formazione e facilitare l’accesso al credito per le imprese. Ha inoltre invocato una riforma fiscale che riduca il carico sul lavoro e sulle imprese, garantendo al contempo un sistema previdenziale pubblico solido e inclusivo.