MARCELLO VENEZIANI: “Parità dei diritti anche per gli animali?”

Dopo il razzismo e il sessismo, arriva puntuale e fatale lo specismo.

E’ il terzo mistero ideologico del nuovo mondo corretto (o capovolto) e denuncia la pretesa priorità dell’uomo sugli animali, il suprematismo umano rispetto alle altre specie. Si fa strada, con l’umanizzazione degli animali e la sostituzione degli affetti familiari con quelli per le bestie, la lotta di liberazione degli animali, e la parità dei diritti estesa anche a loro. Anzi, serpeggia la pretesa che si debba dare priorità ai diritti degli animali, in quanto troppo a lungo oppressi e negati. Come ogni lotta di classe e ogni battaglia egualitaria, prima di proclamare l’uguaglianza universale, si deve dare la precedenza ai più deboli, i più oppressi e più indifesi, cioè gli animali. Per questa vulgata zoo-marxista dobbiamo liberarci dai pregiudizi ereditati dalla cultura umanistica e dal cristianesimo che reputa l’uomo il signore del creato, fatto a immagine e somiglianza di Dio. Nell’arca di Noé del nostro oggi, in virtù del nuovo socialismo animale, gli imbarchi prioritari sono riservati agli animali rispetto agli uomini. Non so se tra gli animali sussista qualche preferenza – un cane rispetto a un insetto, un animale domestico rispetto ad uno selvatico- ma per gli oltranzisti dell’animalismo non si fanno favoritismi. Perché altrimenti, privilegiando gli animali domestici o quelli comunque più prossimi all’uomo, adotteremmo comunque una corsia preferenziale para-umana. Parità dei diritti dunque anche tra gatto e topo, tra mosche e cavalli.

In Italia sono molti gli studiosi che si occupano di etica e diritti degli animali: da Luisella Battaglia a Telmo Pievani, solo per citare due intellettuali in ambito “umanistico”senza addentrarci nell’etologia dove è più prevedibile, direi naturale, l’impegno a favore degli animali. Normale che tra gli allievi di Konrad Lorenz o di Danilo Mainardi vi sia un’attenzione maggiore verso gli animali; più curioso è invece l’animalismo tra i filosofi, i sociologi, gli studiosi di scienze umane. A cavallo tra i due campi ci sono antropologi-zoologi famosi come Desmond Morris, e non pochi evoluzionisti.

Ma l’astro globale del pensiero animale è l’australiano Peter Singer che ha applicato l’etica al regno animale. Il suo manifesto ha quasi cinquant’anni e s’intitola nello spirito sessantottardo di quel tempo, Liberazione animale; di cui è uscita ora una nuova versione aggiornata dal Saggiatore. 

Per lui come per molti liberatori animalisti, lo specismo è la continuazione del razzismo in altri ambiti. E perciò va abbattuto. 

Sul piano alimentare la corrente s’intreccia col veganesimo e la sua versione debole (o più ragionevole) dei vegeterariani. Il principio di fondo è kantiano: tratta gli animali come fine e non come mezzo, rispetta cioè il loro diritto alla vita e la loro dignità. Non siamo (ancora) al voto, all’eleggibilità o al diritto d’opinione estesi agli animali; ma sul piano simbolico siamo già nei paraggi. Singer, perlomeno, stabilisce un perimetro di sensibilità per definire l’animale: i diritti valgono per gli animali che provano piacere o sofferenza. E questo riguarda i mammiferi ma non è ben chiaro né provato fino a che specie animale si estenda; anche se potrebbe pure allargarsi al regno vegetale, conoscendo la sensibilità delle piante (dunque, cari vegeteriani-vegani che si fa, si continua a fare strage di verdure, infierendo loro sofferenze cannibali?). 

Singer non esclude nemmeno la possibilità di testare in laboratorio alcune malattie e alcuni rimedi, usando gli animali come cavie, ma circoscrivendo al massimo le pratiche, le sofferenze e i rischi; e confidando infine nell’intelligenza artificiale che esonererà i martiri animali dalla sperimentazione.

Gli animalisti vogliono estendere l’altruismo agli animali: solo così sarebbe a loro dire davvero coerente e universale.

Alla base di questa nuova battaglia per i diritti degli animali è il vittimismo come teoria generale. Non contano le differenze, tantomeno meriti o colpe, gradi d’intelligenza e livelli di civiltà (o di evoluzione): quel che conta è chi è vittima e chi è carnefice, chi procura del male e chi lo riceve. Lo schema vittimario prima applicato alla storia e alla società, poi esteso al regno animale, è il criterio morale che oggi induce a essere sempre e comunque dalla parte della vittima. Ma il vittimismo animalista salta se è un animale ad aggredire un uomo, sia esso un cane inferocito o un orso, un lupo, un animale selvatico; perché a quel punto si considera un crimine abbatterlo, non essendo egli cosciente e razionale è innocente, non ha ucciso di proposito. Salvo poi prendersela quando si stabilisce la superiorità dell’uomo appunto perché a differenza della bestia, è consapevole e razionale, dotato di volontà e libero arbitrio; fino ad accusare Cartesio di aver generato col suo dualismo un irrimediabile spartiacque tra chi è dotato di ragione e chi invece ha solo istinti e sensibilità. 

Nulla da obiettare all’amore per gli animali, la loro cura e tutela dai maltrattamenti; nulla da dire sui legami affettuosi con loro. Sacrosanto poi il rispetto per la natura, per tutto il creato, comprese le piante e gli animali (i sassi forse no, perché come dicono Battisti-Mogol sono “residui d’inferno”). L’anima del mondo respira anche attraverso loro. Ma si rispetti quella che Tommaso d’Aquino definiva la gerarchia degli esseri e dei beni e si difenda l’umano dalla disumanizzazione galoppante. Prima gli uomini, poi gli animali, le piante e tutto il resto. Salviamo l’uomo e la sua civiltà da macchine e animali, teoremi folli e pregiudizi bestiali.

(Panorama n.13)

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