MARCELLO VENEZIANI: “La dittatura woke contro la libertà e la civiltà”

L’Occidente è in guerra con l’Est – russo, medio ed estremo oriente – e con mezzo sud del mondo. Ma è in guerra prima di tutto con se stesso. Se non credete alle analisi e alle critiche, leggete le testimonianze dirette e le biografie. Dunque, parliamo di una ragazza veneta, progressista e radicale, che va a studiare negli Stati Uniti. E’ una storia esemplare che racconta la realtà e annuncia come finirà da noi, imitatori pappagalleschi degli americani. La ragazza partì per uno stage negli Stati Uniti quindici anni fa, poi rimase a svolgere un lavoro culturale in un’istituzione italo-americana. Ora che ha superato i quarant’anni non ce la fa più a vivere sotto la dittatura woke, che si è fatta irrespirabile, minacciosa, oppressiva, soprattutto per i bianchi e gli eredi di civiltà europea. “Qualsiasi cosa dica o faccia può essere condannata come una micro-offesa rivolta contro afroamericani o latinos”. Nelle prove d’ammissione ha dovuto scrivere un saggio preliminare di buone intenzioni, non circa il suo impegno negli studi ma contro il razzismo. Ovvero, non deve solo ripudiare il razzismo ma deve anche impegnarsi a militare contro il razzismo. Non ogni razzismo, perché la cultura woke sostiene che ci sia un solo razzismo, quello dei bianchi occidentali verso i neri, i latinos e gli asiatici. All’inizio del master ha dovuto scusarsi con i compagni di corso coloured; e non per una colpa reale e specifica, ma per il fatto di essere bianca, occidentale, e dunque portatrice insana di razzismo. A settimane alterne, riferisce la donna, i bianchi devono fare anche un corso di contrizione, chiamato White accountability, responsabilità dei bianchi, in cui si devono sottoporre a un umiliante interrogatorio di due ore per rispondere del loro razzismo, pur latente, e pentirsi. Parallelamente i suoi colleghi di studi afroamericani si riuniscono in Spazi neri e sicuri, Black men (o Women) safe space, per coltivare la loro identità e denunciare le microaggressioni subite dai colleghi bianchi. 

In cosa consisterebbero queste “micro-aggressioni”? Frasi considerate offensive e vietate, anche se al buon senso e all’esperienza di sempre, appaiono del tutto neutre e innocue. Gli esempi rendono meglio l’idea di quale follia masochista e giacobina stiamo diventando vittime: mai chiedere a un collega di colore da dove proviene perché quella domanda implica una discriminazione etnica; guai a citare a un nero la parola campo di studi perché può alludere ai campi di piantagione di cotone e dunque allo schiavismo dei suoi avi; o può evocare l’attività bracciantile di suo nonno messicano. E se cadi in quell’errore ti devi subito scusare e fare autocritica, ripudiando il “privilegio bianco” che ti ha fatto sbagliare.

Alla Columbia University, dove hanno insegnato fior di docenti (anche il nostro Giuseppe Prezzolini), il mantra è nell’acronimo Prop, che sta per Potere razzismo oppressione privilegio. Naturalmente il bianco è iscritto d’ufficio, per ragioni razziali – è il caso di dire -alla categoria del razzista oppressivo e privilegiato; e gli altri per ragioni etniche alla categoria di vittima dei succitati. Dietro quell’etichetta c’è un’ideologia dominante, la critical race theory, eletta ormai a bibbia delle università americane. 

E con gli ebrei? Si distingue, se sono di origine est-europea e dunque ashkenaziti, rientrano tra gli oppressori, se sono sefarditi di origine orientale sono tra gli oppressi. Analoga divisione vige sul piano geostorico: sul versante storico gli ebrei sono le vittime per eccellenza, sul versante geografico in quanto israeliani sono i carnefici per antonomasia. 

E se partecipi ai gruppi di volontari che aiutano immigrati clandestini, poveri e homeless, ti devi sincerare che a guidare il collettivo non sia una bianca, altrimenti è neocolonialismo. 

Poi dice che uno vota Trump… Ma per forza, per esasperazione. 

Ma tu come lo sai, da quale fonte, da quale blog pieno di fake news hai ricavato questa storiella? Non è farina dei social né mia personale; la fonte è il Corriere della sera di ieri, e l’autore è un noto e credibile giornalista “di sinistra”, Federico Rampini; è lui che ha incontrato la ragazza e ha riportato questa testimonianza.

Il problema, come capite, non riguarda le disavventure di una singola persona malcapitata; è l’orizzonte prevalente negli Stati Uniti e a rimorchio, dell’Occidente intero, Italia inclusa. Noi siamo un paese piccolo, gli Usa ci sovrastano, e come si sa, ci baciano in testa quando siamo allineati; ma sono pronti a schiacciarcela se non la pensiamo come loro. 

Quel clima irrespirabile, che pure il Corriere chiama dittatura, non vige solo nei salotti e nei circoli radical chic di New York ma nelle scuole e nelle università, nei media e nelle istituzioni, nei tribunali e negli uffici, nella comunicazione social e nei rapporti interpersonali; obbligati a norma di legge e di cultura a vergognarsi della nostra civiltà, storia, religione e identità e della nostra pelle. Costretti a sentirsi inferiori, in debito, in penitenza, rispetto a chiunque provenga da altri mondi. E non abbiamo aperto l’altro capitolo della dittatura, quello riguardante l’omofobia, il femminismo, il lessico corretto e il sesso in transito…

La ciliegina sulla torta e insieme il paradosso di questa dittatura è che mentre in casa vige questa legge autolesionista e questa ideologia “vergognista”, poi a livello di politica estera, lo stesso Paese, con gli stessi protagonisti dem, cioè liberal, radical e progressisti, pretende di essere l’Arbitro del mondo e minaccia guerre, armi, interventi e sanzioni dappertutto. 

La dittatura woke, imperniata sul politically correct e la cancel culture, sta distruggendo rapidamente una civiltà che si è formata nei millenni. Se fate attenzione vi accorgete che si sta insinuando velocemente anche da noi, in tema di razzismo, gender e affini; di solito si eludono i divieti o li si accettano passivamente, per furbo quieto vivere, per non affrontarli e criticarli. Ma prima o poi diventeranno soffocanti come una cappa, e saremo anestetizzati. Allora sarà troppo tardi per capire e per reagire.

La Verità – 5 marzo 2024

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