da “Il Giornale” del 20 novembre 2023
Il 7 novembre è stato pubblicato un “Appello da parte di accademici e accademiche italiane per chiedere un’urgente azione per un cessate il fuoco immediato e il rispetto del diritto umanitario internazionale”. In 48 ore ha raccolto l’adesione di 3.862 accademici.
L’appello inizia così: «In quanto membri delle comunità accademiche e dei centri di ricerca italiani, scriviamo questa lettera in nome della pace e della giustizia, uniti dalla richiesta di porre un’immediata fine alla guerra in corso contro Gaza».
Chiariamo subito che la guerra non è mai stata «contro Gaza», né contro la popolazione palestinese di Gaza, ma è stata ufficialmente annunciata da Israele «contro Hamas», con l’obiettivo esplicito di «sconfiggere Hamas», come legittima reazione all’attacco terroristico perpetrato il 7 ottobre culminato nella strage di 1400 israeliani ebrei, tra cui 29 bambini, i cui corpi sono stati decapitati, fatti a pezzi, bruciati, al punto da rendere ardua la ricomposizione e l’identificazione dei cadaveri. In aggiunta i terroristi di Hamas hanno sequestrato 240 israeliani ebrei, tra cui 33 bambini.
Hamas è un’organizzazione terroristica messa al bando dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti. Nel 2007 Hamas ha preso violentemente il controllo della Striscia di Gaza sferrando una guerra fratricida contro l’Autorità Palestinese, la sola istituzione riconosciuta internazionalmente, a cui Israele aveva affidato l’amministrazione della Striscia di Gaza dopo il suo definitivo ritiro nel 2005, uccidendo circa un centinaio di soldati palestinesi.
Hamas è l’acronimo di “Movimento di Resistenza Islamica”, in cui il termine “Palestina” o “palestinese” è assente. L’obiettivo ufficiale di Hamas, sancito dal suo Statuto, non è la nascita di uno Stato della Palestina che conviva pacificamente al fianco di Israele, ma è la distruzione di Israele e lo sterminio del popolo ebraico, con la «la fine dell’entità sionista», la vittoria della «Palestina libera dal fiume al mare», ovvero dal Giordano al Mediterraneo, cancellando Israele dalla carta geografica.
L’assoluta ignoranza della Storia degli accademici è nel passaggio in cui individuano la radice del conflitto «nella illegale occupazione che Israele impone alla popolazione palestinese da oltre 75 anni, attraverso una forma di segregazione razziale ed etnica».
Questo è il testo presente nell’Appello: «In tutti i report messi a disposizione dalle Nazioni Unite e dalle numerose organizzazioni umanitarie (ad esempio Amnesty International e Human Rights Watch), è segnalata l’importanza di considerare e comprendere le determinanti e antecedenti a questa violenza, da ricercarsi nella illegale occupazione che Israele impone alla popolazione palestinese da oltre 75 anni, attraverso una forma di segregazione razziale ed etnica. Comprendere e analizzare queste determinanti è l’unica possibilità per poterne riconoscere le radici, contrastare l’escalation e sperare e reclamare pace e sicurezza per tutti.»
Secondo gli accademici italiani, Israele dal 1948 occuperebbe in modo illegale la “Palestina” e imporrebbe al “popolo palestinese” «una forma di segregazione razziale e etnica». Apro una parentesi. I concetti di “razza” e persino di “etnia” sono stati violentemente criticati da accademici e intellettuali veri o presunti quando sono stati accostati alla realtà dell’Italia e degli italiani, arrivando a chiedere la sua soppressione dall’articolo 3 della Costituzione che recita «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Ebbene, perché sarebbe un grave errore attribuire all’Italia e agli italiani il connotato di “razza”, sostenendo che scientificamente non esistono le razze perché l’umanità apparterebbe ad un’unica razza, mentre riferendosi a Israele e agli israeliani li si accusa di imporre una «segregazione razziale ed etnica» nei confronti dei palestinesi? Chiudo la parentesi.
La realtà che gli accademici ignorano è che nella Storia non è mai esistito né uno “Stato della Palestina”, né un «popolo palestinese», né infine Gerusalemme è mai stata la capitale dello “Stato della Palestina” o una città santa dell’islam.
“Palestina” è sempre stata esclusivamente la denominazione di un territorio geografico, non di una entità politica, a partire dal 135 quando l’Imperatore Adriano, nella Terza guerra giudaica, nota come rivolta di Bar Kokhba, dopo lo sterminio di 580 mila ebrei, cancellò la denominazione originaria della terra degli ebrei da “Giudea” in “Siria Palestina”.
Anche sotto il Califfato islamico turco-ottomano l’entità geografica della Palestina faceva parte della “Wilayat di Beirut” o “Regione di Beirut”.
Nel Preambolo del Mandato per la Palestina conferito alla Gran Bretagna, si precisa che lo scopo del Mandato è la ricostituzione dello “Stato ebraico”, in un contesto geo-politico in cui gli stessi ebrei si concepivano “palestinesi”.
Nella Risoluzione 181 del 29 novembre del 1947, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite sancì la spartizione del territorio geografico della “Palestina Mandataria” in due Stati: uno «Stato ebraico» e uno «Stato arabo», non uno «Stato palestinese». Ciò attesta che nel 1947 non esisteva il concetto politico di “Palestina” e di “palestinesi”.
Ventiquattr’ore dopo la proclamazione dello Stato di Israele il 14 maggio del 1948, conformemente alla risoluzione 181 dell’Onu, gli eserciti arabi scatenarono la prima guerra contro Israele, perché pregiudizialmente contrari alla sua esistenza. Fu così che di fatto, pur di impedire la nascita dello Stato di Israele, gli Stati arabi impedirono la nascita del nuovo «Stato arabo» sancito dall’Onu.
Dopo la sconfitta degli eserciti arabi, il territorio su cui si sarebbe dovuto costituire il nuovo «Stato arabo» fu spartito tra Israele, che occupò e si annesse il settore occidentale di Gerusalemme e la Galilea; la Giordania che occupò e si annesse la Cisgiordania e il settore orientale di Gerusalemme; l’Egitto che occupò e amministrò la Striscia di Gaza.
Per 19 anni, dal 1948 al 1967, nessuno Stato arabo o islamico, nessuno Stato al Mondo, neppure le Nazioni Unite o qualsiasi organismo internazionale, contestarono o condannarono l’annessione da parte della Giordania della Cisgiordania, il territorio più esteso su cui sarebbe dovuto sorgere il nuovo “Stato arabo” sancito dalla risoluzione 181 dell’Onu. La ragione è semplice: la popolazione residente in Cisgiordania è la stessa popolazione residente in Transgiordania, che si concepiscono e che vengono definiti «arabi». La divisione tra la Transgiordania e la Cisgiordania fu decisa dalla Gran Bretagna con penna e righello, allo stesso modo con cui furono creati i nuovi Stati nazionali dopo la dissoluzione dell’ultimo Califfato islamico turco-ottomano.
Se veramente gli Stati arabi avessero avuto a cuore la “causa palestinese”, se avessero voluto dar vita a uno “Stato palestinese” per soddisfare l’aspirazione nazionale del “popolo palestinese”, nessuno avrebbe potuto vietare loro di farlo sui territori della Cisgiordania, Gaza e il settore orientale di Gerusalemme. Invece dal 1948 al 1967, ovvero per 19 anni, la Giordania e l’Egitto non hanno pensato minimamente a cedere i territori da loro occupati, semplicemente perché li concepivano come “territori arabi” con una “popolazione araba”.
È soltanto dopo la cocente sconfitta degli eserciti arabi nella “Guerra dei sei giorni” del 5 giugno 1967, sempre a seguito di un’aggressione araba con l’obiettivo dichiarato di «annientare l’entità sionista», che si iniziò a parlare di “popolo palestinese” e di “Stato palestinese”, dopo la violenta esplosione, a suon di attentati terroristici dell’Olp, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, una creatura dell’Unione Sovietica, fatta proprio da un Mondo arabo umiliato e che covava la vendetta, dopo la perdita del Sinai, della Cisgiordania, della Striscia di Gaza, del settore orientale di Gerusalemme, delle Alture del Golan.
Nell’Appello gli accademici scrivono:
«Da tre settimane, a seguito delle brutali azioni perpetrate da Hamas il 7 ottobre che hanno causato la morte di oltre 1.400 persone (la maggior parte dei quali civili) e portato al rapimento di circa 200 ostaggi, assistiamo a massicci e indiscriminati bombardamenti condotti dall’esercito di Israele contro la popolazione della Striscia di Gaza, che si configura come una punizione collettiva contro la popolazione inerme e imprigionata in un territorio di poco più di 360 km2.»
«Come membri della comunità accademica e di ricerca italiana, da molti anni assistiamo con dolore e denunciamo ciò che accade in Palestina e Israele, dove vige, secondo Amnesty International, un illegale regime di oppressione militare e Apartheid. Ancora una volta, ci sentiamo atterriti e angosciati dal genocidio che sta accadendo a Gaza».
«Il governo israeliano ha intimato ad oltre un milione di abitanti nella striscia di lasciare le loro case in vista di un attacco da terra, sapendo che non vi sono via di fuga e via di uscita dalla Striscia di Gaza. Molti di questi sfollati sono stati poi bombardati nelle “zone sicure” del sud della Striscia di Gaza, rivelando un chiaro intento di pulizia etnica da parte del governo israeliano».
Ebbene, la denuncia da parte degli accademici di «massicci e indiscriminati bombardamenti»; «punizione collettiva contro la popolazione inerme e imprigionata»; «un illegale regime di oppressione militare e Apartheid» (chissà perché con la “A” maiuscola, quasi Israele rappresentasse l’apice dei regimi segregazionisti e razzisti); «un chiaro intento di pulizia etnica da parte del governo israeliano»; rappresentano un cumulo di falsità ispirate da fonti dichiaratamente ostili a Israele, innanzitutto le informazioni date da Hamas che sono totalmente pura propaganda anti-israeliana; poi le informazioni delle istituzioni dell’Onu che, all’interno della Striscia di Gaza sono gestite da esponenti di Hamas, mentre il vertice dell’Onu è tradizionalmente ostile a Israele, a partire dal Segretario generale Antonio Guterres, esponente socialista portoghese, che è arrivato a giustificare l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre sostenendo: «È importante riconoscere che gli attacchi di Hamas non sono arrivati dal nulla. Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione». I «56 anni di soffocante occupazione», andrebbero dal 1967 ad oggi, dimenticando che furono gli arabi a impedire la nascita nel 1948 del nuovo “Stato arabo” che oggi acriticamente definiamo “Stato della Palestina”; che per 19 anni nessuno protestò quando quella popolazione “araba”, solo successivamente denominata “palestinese”, fu semplicemente inglobata nella popolazione del Regno della Giordania e dell’Egitto.
Specificatamente, per quanto concerne le operazioni militari israeliane all’interno della Striscia di Gaza, va tenuto conto che avvengono in questo quadro reale:
La Striscia di Gaza ha una superficie di 365 kmq, è popolata da 2.166.269 abitanti, dei quali 1.240.082 hanno lo status di “rifugiati palestinesi”.
La densità della popolazione è di 5.935 abitanti per kmq. Quasi l’80% della popolazione ha meno di 30 anni. I bambini sono il 47% della popolazione.
Limitatamente alla Città di Gaza, il capoluogo della Striscia, ha una superficie di 45 kmq, ha una popolazione di 590.481 abitanti, con una densità di 13.121 abitanti per kmq.
In questo contesto territoriale, che registra una densità di popolazione tra le più elevate al Mondo, in cui la popolazione è per oltre i due terzi formata da giovani e per quasi la metà da bambini; in cui i terroristi di Hamas usano i civili come scudi umani, obbligandogli, pena la loro eliminazione fisica, a restare nelle aree dove sono in corso delle operazioni militari, preannunciate da Israele con l’appello ad allontanarsi, soccombono anche i civili palestinesi, pur essendo l’obiettivo dichiarato da Israele la sconfitta dei terroristi di Hamas e non la «cancellazione del popolo palestinese», il «genocidio del popolo palestinese», come recita l’Appello degli accademici italiani.
In un’intervista concessa l’8 novembre al New York Times, Khalil al-Hayya, membro del Direttivo politico, e Taher El-Nounou, responsabile per la Comunicazione di Hamas, hanno detto:
«Ciò che avrebbe potuto cambiare l’equazione era un grande atto e, senza dubbio, si sapeva che la reazione a questo grande atto sarebbe stata grande».
«Dovevamo dire alla gente che la causa palestinese non era morta. L’obiettivo di Hamas non è governare Gaza e portarle acqua, elettricità e cose del genere. Questa battaglia non è avvenuta perché volevamo carburante o manodopera, non cercava di migliorare la situazione a Gaza. Questa battaglia mira a ribaltare completamente la situazione. Provocare uno stato di guerra con Israele permanente su tutti i confini affinché il Mondo arabo sia costretto a schierarsi al nostro fianco».
Per Hamas, per ammissione dei suoi stessi dirigenti, le migliaia di palestinesi che muoiono nella prevedibile reazione militare d’Israele, sono un prezzo di sangue voluto e ricercato per aizzare la comunità internazionale contro Israele, per criminalizzare gli israeliani e gli ebrei ovunque nel mondo, con lo scopo dichiarato di provocare uno «stato di guerra permanente», che sfoci nella distruzione dello Stato di Israele, realizzando finalmente, per la prima volta nella Storia, uno “Stato della Palestina” esteso “dal fiume al mare”, ovvero dal Giordano al Mediterraneo, cancellando Israele dalla carta geografica.
All’indomani della guerra terroristica di Hamas che ha provocato un ammontare di vittime civili israeliane pressoché pari a quelle di 75 anni del conflitto arabo-israeliano, circa 1.400 morti il 7 ottobre scorso rispetto a 1.730 dal 1948, chiunque chiede l’immediato cessate il fuoco e l’immediato avvio di negoziati di pace tra Israele e Hamas, fa il gioco di Hamas, sancisce la vittoria militare di Hamas e la sconfitta di Israele.
Israele è l’unico Stato al Mondo che non può permettersi di perdere una guerra, perché sarebbe la sua ultima guerra. Hamas non perpetra le stragi di israeliani perché vuole ottenere un vantaggio di alcun tipo, militare, economico o politico, ma deliberatamente per distruggere Israele. Se Israele accettasse di sedere al tavolo dei negoziati con Hamas, firmerebbe la propria condanna a morte.
Israele non ha alternativa che sconfiggere ed eliminare Hamas. I primi a rallegrarsene saranno i palestinesi di Gaza, le vere vittime e i gli ostaggi permanenti della feroce tirannia dei terroristi islamici. Così come tireranno un sospiro di sollievo i Paesi arabi circostanti, la Giordania e l’Egitto in primis. Solo l’uscita di scena di Hamas potrà spianare la strada a un accordo di pace tra Israele e un rappresentante dei palestinesi forte e autorevole, che anteponga il bene dei palestinesi all’odio contro gli ebrei.
Non si possono mettere sullo stesso piano chi uccide deliberatamente perché nega il diritto alla vita altrui, e chi è costretto a difendersi per salvaguardare la propria vita. I terroristi islamici di Hamas sostenuti dai terroristi islamici dell’Hezbollah e dell’Isis, finanziati dal Qatar, armati dall’Iran, protetti dalla Turchia di Erdogan che è il capo politico dei Fratelli Musulmani di cui Hamas fa parte, vogliono esclusivamente distruggere Israele e sterminare il popolo ebraico. Il pogrom di israeliani in terra d’Israele, perpetrato lo scorso 7 ottobre, non ha alcuna giustificazione territoriale o politica, ma è motivato dalla negazione preconcetta del diritto alla vita degli ebrei e di Israele. La reazione militare di uno Stato di diritto, facendo ricorso alle Forze armate, è assolutamente legittima ed è legittimo l’obiettivo di sconfiggere Hamas.
Questo è il fulcro della guerra in corso, se non lo si comprende si finisce per aggirare la realtà e raggirare se stessi e l’opinione pubblica.
Infine gli accademici italiani invitano gli studenti a mobilitarsi contro Israele e chiedono il boicottaggio delle università israeliane:
«Come studiosi, studiose e membri del mondo universitario italiano guardiamo con preoccupazione alla diffusione di misure di limitazione della libertà di dibattito e di delegittimazione delle richieste di cessazione della violenza. Chiediamo quindi di ribadire l’impegno per la libertà di parola, di garantire il diritto degli e delle studenti delle università italiane al dibattito, e di favorire momenti di dibattito e discussione all’interno degli atenei.
Chiediamo inoltre di pronunciarsi con chiarezza sulla necessità da parte dei singoli atenei italiani di procedere con l’interruzione immediata delle collaborazioni con istituzioni universitarie e di ricerca israeliane fino a quando non sarà ripristinato il rispetto del diritto internazionale e umanitario, cessati i crimini contro la popolazione civile palestinese da parte dell’esercito israeliano e quindi fino a quando non saranno attivate azioni volte a porre fine all’occupazione coloniale illegale dei territori palestinesi e all’assedio di Gaza. Crediamo che queste azioni siano irrimandabili sia per contribuire a ripristinare i diritti umani e la giustizia globale sia per non continuare ad essere spettatori conniventi e silenziosi di una tragedia umanitaria e della cancellazione del popolo palestinese».
Gli accademici italiani, consapevolmente o meno, comunque irresponsabilmente, aizzano l’odio contro Israele e contro gli ebrei, soffiano sul fuoco dell’antisemitismo che è corretto definire anti-ebraismo, che è riesploso in Europa, con l’uccisione di ebrei, la segnalazione delle abitazioni degli ebrei disegnando sulle porte la Stella di Davide, dando vita a imponenti manifestazioni in cui si scandiscono le stesse parole d’ordine presenti nello Statuto di Hamas “Palestina libera dal fiume al mare”, che implica la distruzione dello Stato di Israele e lo sterminio del popolo ebraico.
Quanto al boicottaggio delle università israeliane, sarebbe un provvedimento auto-lesionista, considerando che le università e la ricerca scientifica in Israele sono tra le migliori al Mondo, sarebbe solo un danno per le università italiane che, purtroppo, sono sempre più screditate e sfornano sempre più giovani ignoranti e faziosi, come lo sono i docenti che hanno concepito e sottoscritto l’Appello.
Potete leggere il testo integrale dell’Appello e l’elenco dei 3.862 accademici che l’hanno sottoscritto cliccando
https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSft18atRcR4SkUW-7m-afrlizNim7y9YdWPC02cJg5-DJHOaA/viewform
Cari amici, andiamo avanti sulla retta via a testa alta e con la schiena dritta, forti di verità e con il coraggio della libertà. Con l’aiuto del Signore insieme ce la faremo a realizzare il miracolo per far rinascere la nostra civiltà, salvare gli italiani, riscattare l’Italia.
Magdi Cristiano Allam
Fondatore della Comunità “Casa della Civiltà”
Mercoledì 15 novembre 2023
Grazie Magdi per questa precisa ed inappellabile ricostruzione storica dei rapporti di Israele, dalla sua costituzione come Stato del popolo ebraico, con i paesi arabi confinanti e la condizione di eterni profughi dei palestinesi cosi volontariamente perpetuata. Risulta quindi evidente non solo la faziosità dei professori universitari ma anche la loro ignoranza che con il loro livello di istruzione è tanto più inaccettabile. Soprattutto la cosa più odiosa, secondo me, di questo appello è il loro invito a discriminare altre istituzioni accademiche israeliane colpevole solo di essere israeliane, pertanto è evidente la loro ipocrita equidistanza con l’invito ad un generico cessate il fuoco. Compito nostro e della Casa della Civiltà potrebbe invece essere lanciare al contrario un Appello a difesa di Israele e al suo diritto dovere di difendersi dal terrorismo islamico.
Magistrale! Ritengo ciò che scrive Magdi frutto di onestà intellettuale e di uno sguardo rivolto in maniera oggettiva ai fatti. La verità non è negoziabile!