Cari amici, ben ritrovati all’Approfondimento culturale con il documentario su “La fine del mito della democrazia”.
Nella Storia della democrazia, gli assalti alle Sedi dei Parlamenti degli Stati Uniti e del Brasile, resteranno delle pietre miliari che attestano la fase di decadenza del mito del “governo del popolo”.
C’è una straordinaria similitudine tra l’assalto da parte di manifestanti domenica 8 gennaio 2023 a Brasilia, nel piazzale dove si trovano le sedi della Presidenza della Repubblica, del Parlamento e della Corte Suprema del Brasile, e l’assalto del 6 gennaio 2021 a Washington, al Campidoglio, sede del Congresso degli Stati Uniti.
Entrambi gli assalti sono stati denunciati come “colpi di stato”, ma questa affermazione non convince perché i manifestanti erano disarmati e sono stati lasciati entrare dagli addetti alla sicurezza.
Il Presidente del Brasile Lula condannò gli assalitori definendoli «vandali, neofascisti, golpisti, terroristi».
Il Presidente statunitense Biden disse: «Il 6 gennaio fu un’insurrezione armata e Donald Trump cercò di rovesciare elezioni libere, di sovvertire la Costituzione e di fermare una trasferimento pacifico dei poteri attraverso un gruppo di balordi, tutto il mondo ha visto con i suoi occhi».
Ciò che non torna nella narrazione ufficiale è contenuta nell’ammissione di Biden che a compiere «un’insurrezione armata» è stato «un gruppo di balordi».
Nell’assalto a Capitol Hill non furono trovate armi da fuoco addosso ai manifestanti, conteggiati in «centinaia». L’unico a aver sparato all’interno della Sede del Congresso è stato un poliziotto in borghese che ha ucciso Ashley Babbitt, che era disarmata, mentre stava cercando di scavalcare una finestra rotta in precedenza.
A Brasilia i manifestanti, conteggiati tra i 10 e i 15 mila, non avevano armi, non ci sono stati morti per arma da fuoco, ma solo feriti per colluttazione.
Sia a Brasilia sia a Washington i manifestanti hanno contestato la vittoria elettorale dei nuovi presidenti, Lula e Biden, e risultano essere seguaci dei presidenti perdenti, Bolsonaro e Trump.
In entrambi i casi le manifestazioni erano state precedentemente annunciate ed erano state autorizzate dalle autorità. A Brasilia i manifestanti indossavano la maglietta gialla della nazionale di calcio e hanno esposto la bandiera nazionale. A Washington i manifestanti passeranno alla Storia per essere stati capeggiati da un giovane travestito da sciamano.
A Washington i video attestano l’ingresso pacifico dei manifestanti nella sede del Campidoglio, con i poliziotti che si fanno da parte per farli entrare, alcuni hanno fatto anche dei selfie con i manifestanti. C’è un video in cui si vedono gli agenti che spostano le transenne e lasciano passare i manifestanti.
L’irruzione nella sede del Congresso a Washington durò dalle ore 13 alle ore 14,30. Alle ore 21 la sede del Congresso era nuovamente operativa e il Senato riprese l’attività interrotta nella tarda mattinata.
A Brasilia le forze di sicurezza avevano informato il Governatore del Distretto federale di Brasilia Ibaneis Rocha che l’ingresso «pacifico» e «organizzato» nella spianata dei ministeri era stato «negoziato» con i manifestanti, poche ore prima dell’assalto.
Il numero due del segretario alla Sicurezza, Fernando de Sousa Oliveira, aveva detto al Governatore: «Abbiamo negoziato in modo che scendano in modo pacifico, organizzato, accompagnato. È un ambiente molto calmo, molto piacevole. Una manifestazione molto soft, totalmente pacifica».
Da che mondo è mondo i colpi di stato si fanno con le armi, coinvolgendo settori dell’esercito o milizie armate, scatenando delle guerre intestine, perpetrando delle stragi, provocando la distruzione di edifici. Ma soprattutto i colpi di stato si fanno per rovesciare il governo e assumere il potere dello Stato.
Ebbene, non c’è nulla di ciò nel «golpe» denunciato da Lula o nella «insurrezione armata» paventata da Biden.
Ed allora può sorgere il sospetto che si sia trattata di un’operazione deliberata e pianificata, infiltrando dei sabotatori di professione tra i manifestanti. Ovviamente l’obiettivo vero è la manipolazione del finto golpe e della finta insurrezione armata per criminalizzare l’avversario politico, diffondere un clima di terrore tra la popolazione, imporre successivamente un regime autoritario legittimato a stroncare sul nascere qualsiasi dissenso.
Prendiamo atto che negli Stati Uniti d’America, la superpotenza che concepisce se stessa come il baluardo della libertà nel mondo, si stanno calpestando delle regole basilari della democrazia. Per come si sono susseguiti i fatti, l’eliminazione di Trump segna la fine dell’Occidente democratico e liberale e segna l’avvento del “Nuovo Ordine Mondiale” sottomesso alla grande finanza speculativa globalizzata che ha la sua roccaforte proprio negli Stati Uniti e ha il suo referente politico nella Cina capital-comunista.
Dobbiamo prendere atto che l’assalto, pacifico e come atto di protesta contro la manipolazione dell’esito delle elezioni, alla Sede del Congresso della prima potenza mondiale, che ha scatenato e continua a scatenare guerre in tutto il Mondo nel nome della democrazia, ci fa toccare con mano la crisi profonda della democrazia come sistema rappresentativo della volontà popolare, garante della sovranità popolare, fulcro dello stato di diritto fondato sulla certezza e sul primato della legge, ma anche come l’istituto costituzionale atto a assicurare la governabilità dello Stato.
Che la democrazia non corrisponda al “governo del popolo” e non sia una realtà politicamente integerrima lo si evince dalla valutazione di Winston Churchill, il Premier britannico che combatté e contribuì alla sconfitta della dittatura nazi-fascista: «È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono sperimentate fino ad ora». Il messaggio è che la democrazia è il sistema di governo meno peggio, ma non è esente da pesanti lacune che violano la quintessenza della democrazia, a partire dal rapporto fiduciario tra l’elettore e l’eletto che sostanzia la sovranità popolare.
È ipotizzabile scindere il sistema elettorale dall’istituzione della democrazia? Il “marcio” risiede solo nel sistema elettorale, o è in discussione la stessa democrazia? Se di fatto è il sistema elettorale che sostanzia la democrazia, per cui a prescindere da ciò che veramente pensano e vogliono i soggetti politici che partecipano alle elezioni, si concede loro il diritto di governare qualora dovessero risultare i vincitori, allora il sistema elettorale coincide con la democrazia. E se si sollevano dubbi sul sistema elettorale, i dubbi in realtà concernono la stessa democrazia.
I due dittatori protagonisti dell’esplosione della Seconda Guerra Mondiale, Adolf Hitler in Germania e Benito Mussolini in Italia, sono arrivati al potere grazie alla democrazia. Entrambi, una volta assicuratisi il potere assoluto, hanno posto fine alla democrazia, intesa come multipartitismo, sostituendola con il potere unico del proprio partito.
La verità è che la democrazia non è un totem, una entità soprannaturale indiscutibile perché incarnerebbe il sistema di governo ideale. Nel Mondo viene concepita e praticata differentemente.
Il 16 settembre 2022 il Parlamento Europeo, con un’ampia maggioranza di 433 voti a favore e 123 contrari, ha deliberato che l’Ungheria non è «una democrazia», ma un «regime ibrido di autocrazia elettorale» costruito da Viktor Orban, che rappresenterebbe una «minaccia sistemica» per i valori fondanti dell’Unione Europea.
È evidente che per l’Unione Europea la democrazia significa sottomissione all’ideologia globalista, relativista, omotransessualista, immigrazionista e islamofila. È che se l’Ungheria non è una democrazia, ugualmente non lo è nessuno Stato dell’Unione Europea.
L’unica cosa corretta detta dal Parlamento Europeo è l’aver distinto tra la dimensione formale della democrazia, che si espleta tramite il rito delle elezioni, e la dimensione sostanziale della democrazia, che corrisponde ai valori su cui si fonda uno Stato civile di diritto.
La democrazia non si sostanzia del rito delle elezioni ma dei valori, dei principi e delle regole che incarna e che ne costituiscono la sua quintessenza. Eppure a livello mondiale la democrazia è concepita e soprattutto praticata esclusivamente per la dimensione formale del rito delle elezioni.
Quanto alla sua dimensione sostanziale, non solo non c’è convergenza, ma il tema non viene nemmeno sollevato e, nella maggior parte di chi esercita il rito delle elezioni, non è nemmeno consapevole del fatto che sussista una dimensione sostanziale della democrazia.
Il sistema elettorale è a tal punto diverso tra gli Stati che si risolve in modelli di democrazia sostanzialmente diversi.
Alle elezioni presidenziali del 2016 Hillary Clinton vinse il voto popolare ma Donald Trump stravinse il voto dei “grandi elettori” e divenne il Presidente degli Stati Uniti.
Nel sistema elettorale maggioritario secco a turno unico del Regno Unito, dove nei collegi elettorali uninominali vince il candidato che ha un voto in più, il Partito che a livello nazionale dovesse avere un voto in più in tutti i collegi, si aggiudicherebbe la totalità dei seggi della Camera dei deputati, mentre gli altri verrebbero totalmente esclusi pur avendo un ampio consenso popolare ma con un voto in meno.
Il sistema elettorale italiano, per prevenire l’avvento al potere di un “uomo forte” dopo il ventennio di regime fascista, è stato concepito per affermare la “rappresentatività” a discapito della “governabilità”. Il risultato è che in Italia si sono succeduti 68 governi in 75 anni, con una durata media di un anno e poco più di un mese per ciascun Governo. Nessun Governo italiano ha portato a termine la legislatura di cinque anni. Questa realtà ci fa toccare con mano che la nostra democrazia è intrinsecamente inadeguata a garantire la governabilità dell’Italia.
L’attuale sistema elettorale in Italia è di fatto incostituzionale. Nel 2014 la Corte Costituzionale bocciò il sistema elettorale denominato “Porcellum” perché non contemplava il voto di preferenza e non indicava la soglia a partire dalla quale scattava il premio di maggioranza. Nel 2017 la Corte Costituzionale bocciò il sistema elettorale denominato “Italicum” perché il ballottaggio può permettere anche a chi ha avuto pochi voti di ottenere il premio di maggioranza, stravolgendo le intenzioni degli elettori manifestate al primo turno; e perché i capilista candidati in più collegi determinano «una distorsione del voto».
Ebbene l’attuale legge elettorale, denominata “Rosatellum” è anch’essa di fatto incostituzionale principalmente perché non contempla il voto di preferenza, non consente cioè che gli elettori scelgano i propri eletti scrivendo personalmente i loro nomi sulla scheda elettorale, dove i nomi degli eletti, sia nei collegi uninominali sia in quelli plurinominali, sono già scritti e sono stati scelti dai rispettivi Partiti. Eppure il 25 settembre 2022 e in precedenza nel 2018 si è votato con il “Rosatellum”, tra l’indifferenza dei politici, che non possono non sapere, e il silenzio assordante della Corte Costituzionale, che ha il dovere di far rispettare le proprie sentenze, ma che nei fatti è totalmente assoggettata al potere politico.
Alla luce di tutto ciò si impone una riflessione sul suffragio universale, decantato come l’apice della civiltà e dello Stato di diritto, il frutto più ambito delle battaglie dei popoli per la democrazia. Ebbene se la tesi di “uno vale uno” è umanamente bocciata per quanto concerne gli eletti, nel senso che si è accreditata la consapevolezza che non si possono affidare incarichi di governo, inteso in senso ampio, a chi non ha adeguate competenze, è ragionevole interrogarsi se il suffragio universale sia valido anche per gli elettori, cioè se sia valido e utile per il bene della collettività che votino dei cittadini che non hanno una adeguata consapevolezza del bene comune e che siano facilmente manipolabili dai poteri forti locali e globalizzati.
La democrazia in Italia è degenerata in partitocrazia, nello strapotere dei partiti politici, ha accreditato il «consociativismo» per spartirsi il potere e soprattutto il fiume ininterrotto di denaro pubblico tra la maggioranza e l’opposizione, ha radicato la sfiducia nelle istituzioni e nello Stato.
Il marciume della democrazia è insito nel “mercato dei parlamentari” e nel “mercato delle candidature”.
Nel Parlamento sciolto con le ultime elezioni del 25 settembre 2022, su un totale di 945 parlamentari, erano 213 i parlamentari, pari al 22,5%, che avevano cambiato Gruppo politico all’interno del Parlamento e, considerando che ci sono dei parlamentari che hanno cambiato più volte, il totale dei cambi dei Gruppi politici è stato di 282 pari al 29,8% del totale dei parlamentari.
Quanto al “mercato delle candidature”, chiariamo che c’è da molto tempo, sicuramente dagli anni Novanta, ma forse c’è sempre stato anche nella cosiddetta «Prima Repubblica». Si comprende che con il taglio dei parlamentari eletti da 945 a 600, riducendosi alla Camera dei deputati da 630 a 400 e al Senato 315 a 200, il “mercato delle candidature” è diventato ancor più rovente, agguerrito e soprattutto costosissimo.
Precedenti inchieste giudiziarie avevano rivelato la realtà di un “tariffario” per essere inseriti nelle liste dei candidati, con un prezzo che sale a secondo della posizione nella lista. Chi vuole aggiudicarsi le candidature certe che garantiscono l’accesso al Parlamento, sia nei collegi uninominali sia nei collegi proporzionali, deve pagare molto di più.
Entrare in Parlamento è come vincere una lotteria: i senatori guadagnano ogni mese 14.634,89 euro netti e i deputati 13.971,35 euro netti; tutti hanno diritto a un assegno di fine mandato, che è pari all’80% dell’importo mensile lordo dell’indennità moltiplicato per il numero degli anni di mandato effettivo. Ma soprattutto ci sono i guadagni non calcolabili legati all’esercizio effettivo del proprio potere di parlamentare nel promuovere attività varie proprie o dei propri raccomandati.
La scelta dei candidati avviene in un clima di guerra intestina ai singoli partiti. Ciascun possibile candidato scopre che i suoi peggiori nemici sono proprio i suoi compagni o colleghi di partito perché sono i primi e i più diretti concorrenti nell’aggiudicarsi il posto in lista.
I partiti funzionano come delle aziende che hanno un bilancio con entrate e uscite. Da quando i partiti non beneficiano più del finanziamento pubblico, tutti i partiti hanno i conti in rosso e hanno un disperato bisogno di soldi. I soldi sono vitali per assicurare l’attività delle strutture e gli stipendi dei funzionari che sorreggono il partito a livello nazionale. In aggiunta le campagne elettorali costano tantissimo.
Ebbene i soldi arrivano se i partiti occupano posti di potere: seggi nel Parlamento nazionale e in quello europeo, nei Consigli regionali, provinciali e comunali, presidenze e consigli di amministrazione degli enti statali o parastatali.
Alla luce di ciò le elezioni vengono concepite come l’anticamera dell’accesso alle stanze del potere e ai forzieri del fiume ininterrotto del denaro pubblico, concepito come denaro di tutti e di nessuno, oggetto del desiderio e di preda da parte di chi ha più potere.
Il faro che illumina le scelte dei partiti è innanzitutto il sondaggio, l’unico dio di fronte a cui tutti i partiti si prostrano e modificano spregiudicatamente le proprie scelte. Se il sondaggio dice che per conquistare maggiore consenso è opportuno virare a destra, al centro o a sinistra, lo si fa disinvoltamente. L’importante sono i voti, non importa se in cambio si fanno delle promesse irrealizzabili o dannose per l’interesse generale dello Stato.
Nella fase elettorale i partiti accettano ogni sorta di compromesso. Si accolgono a braccia aperte i cosiddetti «capi bastone», espressione mutuata dalla ‘ndrangheta calabrese, per indicare coloro che sono in grado di assicurare al partito migliaia di voti sicuri, proprio perché espressi da un bacino controllato dalla criminalità organizzata o comunque con mezzi di persuasione che di fatto corrispondono al reato penale del «voto di scambio».
In questo contesto di democrazia svilita, corrotta e degradata il Parlamento si è ridotto a essere un palcoscenico per spettacoli indecorosi e indegni della nostra grande Nazione, nonché una passerella per recitazioni urlate che diffondono la “denuncite”, l’epidemia più contagiosa tra gli italiani causata dal morbo della denuncia fine a se stessa, da trasformare in video per divulgarli tramite le piattaforme di comunicazione virtuale, Facebook, Twitter, Instagram, ecc.
La democrazia malata ha consentito la realtà della magistratura ideologizzata e politicizzata, trasformata nel potere forte che opera in modo arbitrario, prevaricando e sostituendosi al potere legislativo, aggredendo e sostituendo con veri e propri colpi di stato giudiziari il potere esecutivo.
Gherardo Colombo, l’ex Pubblico ministero che è stato nei primi Anni novanta uno dei cinque grandi protagonisti dell’inchiesta “Mani Pulite”, in una introduzione al libro di Enzo Carra, ex portavoce di Arnaldo Forlani, ha ammesso che nel luglio del 1992, quando le indagini erano ancora alle prime battute, fu suggerito ai politici di confessare i propri delitti e di uscire dalla vita pubblica in cambio dell’impunità. Di fatto ha ammesso che Tangentopoli fu un colpo di stato per via giudiziaria, che spazzò via la “Prima Repubblica”.
Una democrazia sostanziale si fonda su tre pilastri:
1) La corretta rappresentatività basata sul rapporto fiduciario tra gli elettori e gli eletti, incarnando la sovranità popolare attraverso il voto di preferenza che assicura che la scelta degli elettori corrisponda all’elezione degli eletti;
2) La governabilità effettiva, garantendo al soggetto politico vincitore delle elezioni di disporre della maggioranza politica per poter concretamente assumere il Governo della comunità che è chiamato ad amministrare;
3) La costruttività operativa, vincolando il soggetto politico eletto e il Governo a ottemperare agli impegni assunti di fronte agli elettori.
Ebbene in Italia abbiamo perso tutti e tre i pilastri della democrazia sostanziale. Sul piano della rappresentatività prendiamo atto che i parlamentari sono stati designati dai partiti e gli elettori si sono limitati ad avallare la scelta dei partiti. Non essendoci il voto di preferenza si è negato l’esercizio della sovranità popolare.
Sul piano della governabilità prendiamo atto che la partitocrazia, ovvero lo strapotere dei partiti, ha imposto il consociativismo, cioè la spartizione del potere tra vincitori e vinti, rendendo la governabilità un esercizio di equilibrismo politico e di perenne instabilità istituzionale.
Sul piano della costruttività, prendiamo atto che i partiti al Governo concepiscono la loro permanenza al potere come un’opportunità per accrescere il proprio consenso e di fatto sono in una perenne campagna elettorale.
È arrivato il momento di ripensare il mito della democrazia nel tragico contesto in cui siamo precipitati, della partitocrazia consociativa, di una civiltà decaduta, di uno Stato collassato, di una Giustizia morta, di un’economia devastata, di una società sessualmente e moralmente pervertita, di una popolazione condannata all’estinzione, di un’Italia senza più indipendenza e sovranità, sempre più fagocitati dal “Nuovo Ordine Mondiale” capeggiato dalla grande finanza speculativa globalizzata e dalla Cina capital-comunista.
Dobbiamo rimettere al centro il bene primario degli italiani e l’interesse supremo dell’Italia. Il sistema di governo della sfera pubblica deve essere al servizio dei cittadini. Tutte le sovrastrutture onerose, corrotte, inefficienti e vessatorie vanno eliminate. Serve un’autentica rivoluzione culturale, civile e politica per realizzare un traguardo ambizioso ma vitale. Noi confidiamo in un miracolo per l’Italia.
Oggi più che mai dobbiamo riscoprire l’insegnamento di Platone nella sua opera “La Repubblica”, scritta tra il 380-370 a.c.
«Quando la città retta a democrazia si ubriaca di libertà confondendola con la licenza, con l’aiuto di cattivi coppieri costretti a comprarsi l’immunità con dosi sempre massicce d’indulgenza verso ogni sorta di illegalità e di soperchieria; quando questa città si copre di fango accettando di farsi serva di uomini di fango per potere continuare a vivere e ad ingrassare nel fango; quando il padre si abbassa al livello del figlio e si mette, bamboleggiando, a copiarlo perché ha paura del figlio; quando il figlio si mette alla pari del padre e, lungi da rispettarlo, impara a disprezzarlo per la sua pavidità; quando il cittadino accetta che, di dovunque venga, chiunque gli capiti in casa, possa acquistarvi gli stessi diritti di chi l’ha costruita e ci è nato; quando i capi tollerano tutto questo per guadagnare voti e consensi in nome di una libertà che divora e corrompe ogni regola ed ordine; c’è da meravigliarsi che l’arbitrio si estenda a tutto e che dappertutto nasca l’anarchia e penetri nelle dimore private e perfino nelle stalle?
In un ambiente siffatto, in cui il maestro teme ed adula gli scolari e gli scolari non tengono in alcun conto i maestri; in cui tutto si mescola e si confonde; in cui chi comanda finge, per comandare sempre di più, di mettersi al servizio di chi è comandato e ne lusinga, per sfruttarli, tutti i vizi; in cui i rapporti tra gli uni e gli altri sono regolati soltanto dalle reciproche convenienze nelle reciproche tolleranze; in cui la demagogia dell’uguaglianza rende impraticabile qualsiasi selezione, ed anzi costringe tutti a misurare il passo delle gambe su chi le ha più corte; in cui l’unico rimedio contro il favoritismo consiste nella molteplicità e moltiplicazione dei favori; in cui tutto è concesso a tutti in modo che tutti ne diventino complici; in un ambiente siffatto, quando raggiunge il culmine dell’anarchia e nessuno è più sicuro di nulla e nessuno è più padrone di qualcosa perché tutti lo sono, anche del suo letto e della sua madia a parità di diritti con lui e i rifiuti si ammonticchiano per le strade perché nessuno può comandare a nessuno di sgombrarli; in un ambiente siffatto, dico, pensi tu che il cittadino accorrerebbe a difendere la libertà, quella libertà, dal pericolo dell’autoritarismo?
Ecco, secondo me, come nascono le dittature. Esse hanno due madri.
Una è l’oligarchia quando degenera, per le sue lotte interne, in satrapia.
L’altra è la democrazia quando, per sete di libertà e per l’inettitudine dei suoi capi, precipita nella corruzione e nella paralisi.
Allora la gente si separa da coloro cui fa la colpa di averla condotta a tale disastro e si prepara a rinnegarla prima coi sarcasmi, poi con la violenza che della dittatura è pronuba e levatrice.
Così la democrazia muore: per abuso di se stessa.
E prima che nel sangue, nel ridicolo.»
Magdi Cristiano Allam
Fondatore e Presidente della Comunità “Casa della Civiltà”
Lunedì 1 maggio 2023