Ci sono diversi modi per rendere gli operatori dell’informazione il meno insidiosi possibile, per esempio silenziarli coattamente, oppure pagando per far pubblicare il politicamente pubblicabile.
Ebbene, attraverso diverse fonti giornalistiche online, si apprende che il neo-proprietario di Twitter avrebbe annunciato il ripristino degli account di quei giornalisti accusati di avere tracciato e reso noto su Internet i movimenti del suo jet privato.
Sicché, come si legge su Adnkronos (17 dicembre 2022): «La decisione del miliardario di sospendere gli account è stata condannata dalle Nazioni Unite e dall’Unione Europea. L’Onu ha twittato che la libertà dei media “non è un giocattolo”, mentre l’Ue ha minacciato Twitter di sanzioni. Un portavoce di Twitter ha detto a un sito Web di notizie tecnologiche statunitensi che i divieti erano legati alla condivisione in tempo reale dei dati sulla posizione di Elon Musk. Nel frattempo, dopo aver fatto un sondaggio, il proprietario del social ha annunciato di voler restituire gli account ai giornalisti».
Tuttavia, aggiungo, corre obbligo precisare che non è la prima volta e non sarà nemmeno l’ultima che i proprietari di gran parte dei social network più noti e frequentati dagli internauti censurano, con vari metodi, algoritmi o tramite operatore fisico, ciò che a loro non gradisce.
Perciò, ci si potrebbe chiedere: dov’è il fattore di novità con riguardo i recenti fatti? Probabilmente non c’è nessuna novità.
Ed indignazione per aver silenziato alcuni operatori dell’informazione? Diciamo di sì, ma entro un certo limite se consideriamo che i social network sono di proprietà privata.
Del resto, se proprio ci si volesse soffermare sul fenomeno della libera manifestazione del pensiero e di stampa, che sappiamo comprendere giornali cartacei, digitali e televisione, allora potremmo anche interrogarci fino a che punto può essere considerata pienamente libera quell’informazione che un governo – democratico e no autocratico – finanzia affinché divulghi notizie unidirezionali.
Immaginario? Ognuno valuti da se, un fatto è certo, in quanto fonte normativa: nel 2020 il decreto-legge n. 34 (Fondo emergenze emittenti locali), poi convertito con modificazioni dalla Legge 17 luglio 2020, n. 77 (S.O. n. 25, G.U. 18/07/2020, n. 180), con l’art. 195, stabilì di stanziare «l’importo di 50 milioni di euro per l’anno 2020, che costituisce tetto di spesa, per l’erogazione di un contributo straordinario per i servizi informativi connessi alla diffusione del contagio da COVID-19» (provvedimento reiterato parzialmente l’anno successivo), disponendo, nello specifico, che «le emittenti radiotelevisive locali beneficiarie si impegnano a trasmettere i messaggi di comunicazione istituzionale relativi all’emergenza sanitaria all’interno dei propri spazi informativi».
Ebbene, tutti noi conosciamo quali sono stati in questi anni «i messaggi di comunicazione istituzionale relativi all’emergenza sanitaria», così come abbiamo avuto modo di valutarne l’affidabilità, la veridicità e la credibilità circa il contenuto degli stessi.