Federico Faggin, il più grande inventore vivente, padre del microprocessore: «Non siamo macchine biologiche, ma esseri spirituali imprigionati in un corpo fisico»
di Eleonora Chioda
La Repubblica, 23 giugno 2024 – «Noi siamo luce e dobbiamo aprire gli occhi. In un’epoca dove l’intelligenza artificiale ci viene proposta come qualcosa che ci può sostituire, è fondamentale capire chi siamo. Se ci consideriamo macchine, saremo prima o poi superati dalle macchine stesse, costruite da chi vuole controllarci».
Lui è Federico Faggin, 83 anni, il più grande inventore vivente, padre del microprocessore. Con le sue idee ha fatto la storia dell’informatica. Negli anni ’80 ha iniziato a volgere il suo sguardo dentro l’essere umano e a chiedersi che cos’è la coscienza. E dopo anni di studio, si batte per una nuova scienza che includa la spiritualità, due mondi spesso considerati incompatibili tra loro.
Nel suo nuovo libro, “Oltre l’invisibile” (appena uscito per Mondadori), il terzo dopo “Silicio” e “Irriducibile”, Faggin ci propone un nuovo sguardo sul mondo. Che va oltre la materia e cerca oltre il visibile.
«La scienza nega la realtà spirituale e la spiritualità spesso nega la realtà fisica. Eppure sono due facce della stessa medaglia. Noi non siamo macchine biologiche come ci vuole far credere lo scientismo. Noi non siamo solo un corpo fisico. Questa idea non ci rappresenta pienamente, non descrive la nostra umanità. Non descrive il cuore, il coraggio, l’intelligenza creativa. Noi siamo esseri spirituali imprigionati in un corpo fisico, simile a una macchina. Ma siamo molto di più di una macchina».
La sua è una visione ottimista, che si ricollega alla filosofia perenne, che ha sempre affermato che non siamo solo corpo, ma che c’è qualcosa di più…
All’origine di tutto c’è la coscienza, che è capacità che ci permette di conoscere, capire e attribuire un significato alle nostre esperienze. Comprende anche la materia. «La coscienza è una proprietà fondamentale dell’universo. Esiste fin dall’inizio, prima della materia stessa. Non può essere originata dalla materia, perché la materia non ha la capacità di comprendere. E noi essere umani siamo parte integrante di un tutto. La nostra essenza è un campo quantistico cosciente e che ha libero arbitrio».
“Oltre l’Invisibile” è un libro dirompente, profondo, chiaro, scritto come una conversazione con la cognata Viviana Sardei, e ci fa riscoprire il nostro valore. «Abbiamo abbandonato la parte migliore di noi stessi per seguire il materialismo e principi che si sono rivelati errati».
Fisico, pioniere, creatore del microchip. Inventore, prima di Steve Jobs, della tecnologia touchscreen. Imprenditore, filosofo. «Io sono soltanto una persona che è riuscita a trovare unione dentro e fuori di sé». Faggin da 56 anni vive a Los Altos Hills, vicino a Palo Alto, è l’unico italiano presente sul Walk of Fame del Computer History Museum di Mountain View. Ha contribuito, più di ogni altro, al mondo della tecnologia e della Silicon Valley. Di lui, Bill Gates ha detto: «Prima di Faggin, la Silicon Valley era semplicemente la Valley». Nel 2011 Obama lo ha premiato con una medaglia d’oro per l’innovazione. «Dobbiamo fare lo sforzo di conoscere più a fondo chi siamo e che cosa vogliamo davvero: perché questa è la nostra responsabilità più profonda».
Per arrivare a capirlo, Faggin ha fatto dei giri immensi. Nella sua vita c’è un prima e un dopo.
Classe 1941, infanzia in campagna a Isola Vicentina. Scuole a Vicenza. A 11 anni, costruisce il suo primo aeromodello. «Tutto il mio mondo era dentro a quel modellino e lì mi sono innamorato del futuro». Figlio di un professore di Storia della filosofia, Faggin si iscrive contro il volere del padre a un istituto tecnico e prende il diploma di perito radiotecnico. A 16 anni legge per la prima volta un articolo sui computer. A 18 anni è già all’Olivetti di Borgolombardo (Mi), dove progetta e costruisce un piccolo calcolatore elettronico sperimentale. A 19 anni lascia l’Olivetti e decide di iscriversi a Fisica. Fino a quell’anno i periti non erano ammessi all’università e il padre è di nuovo contrario. «Mio padre apparteneva a quella generazione di uomini colti che consideravano gli istituti industriali scuole di serie B. Gli ho detto: dammi solo da mangiare e un letto per dormire, e a pagarmi gli studi ci penso io. Così ho passato il test di ammissione, mi sono laureato in meno di 4 anni e con 110 e lode».
Assistente incaricato per un anno accademico («ma l’università si muoveva troppo lentamente per me»), inizia presto a lavorare per la SGS, un’azienda di Agrate Brianza (MI), associata alla Fairchild Semiconductor di Palo Alto. Le due ditte (come le chiama Faggin) decidono di fare uno scambio. Un ingegnere americano viene inviato in Italia e Faggin è mandato nel gruppo di ricerca e sviluppo in California. Doveva rimanere sei mesi, ma viene subito assunto dalla Fairchild Semiconductor, che intanto si era separata dalla SGS-Fairchild. È lì che Faggin inventa la rivoluzionaria tecnologia MOS con porta di silicio che rese possibili i microprocessori e le memorie a semiconduttori.
E non torna più.
«La Silicon Valley era ed è ancora la frontiera mondiale dell’alta tecnologia. Lavorare lì può essere inebriante, perché è una fucina di idee».
A 28 anni, Faggin è già a Intel. È lì che progetta il primo microprocessore commerciale al mondo (Intel 4004) e sviluppa il primo di seconda generazione (Intel 8080).
«Ma dopo 5 anni, sentivo il fuoco dentro e la voglia di fare un’impresa tutta mia. Quando ho deciso di dimettermi per creare la Zilog, però, sono iniziati i problemi con il Ceo di Intel, Andy Grove. Che mi lanciò una vera maledizione. «Se te ne vai da Intel – mi disse – sarai cancellato dalla Storia. Fallirai in ogni cosa che farai. Ti toglierò qualsiasi paternità del processore». Per molti anni, fu così. L’invenzione del microprocessore è stata attribuita principalmente a Ted Hoff e al suo ingegnere, responsabili di aver fatto l’architettura («Una cosa che potevano fare in molti»). Grazie alla moglie Elvia, che ha fatto una vera e propria battaglia di controinformazione, oggi tutto il mondo riconosce nell’italiano l’inventore del microchip.
Intanto lui inventa il Z80, microprocessore a 8 bit. Poi sviluppa un telefono intelligente che integra voci e dati e che permetteva di fare, già allora, quello che oggi si fa con un iPhone. Nel 1986 crea i primi touchscreen.
A un certo punto Faggin ha tutto dalla vita. Successo, carriera, riconoscimenti, denaro. «Avevo più soldi di quelli che potevo spendere». Una bella famiglia. «Eppure ho avuto una crisi esistenziale. Mi ero lasciato abbindolare dal mondo. Cercavo la felicità fuori di me. Avevo abbracciato la visione competitiva e consumistica che domina la nostra società. Per anni ho cancellato dalla mente qualunque turbamento interiore. Ma tagliati tutti i traguardi del successo, ho deciso di guardare dentro la mia disperazione e capire che cosa volesse dire ciò che sentivo. Cosi mi sono affacciato ai problemi della coscienza e mi sono chiesto: chi sono?».
A segnare lo spartiacque tra le due esistenze di Faggin, c’è una notte durante le vacanze di Natale del 1990. È in vacanza sul lago Tahoe, si alza per bere dell’acqua. «Tornato a letto, mentre aspettavo di riaddormentarmi, ho sentito un’energia fortissima emergere dal petto… Era amore, ma un amore diecimila volte più intenso di qualunque amore avessi provato. Questa esperienza mi ha aperto un nuovo mondo». Da questo momento, Faggin intraprende un percorso psicologico e spirituale che dura oltre 20 anni e capisce che siamo ciò che sentiamo.
«Noi siamo infiniti, siamo entità coscienti che vogliono conoscere se stesse. Siamo una parte-intero di Uno. Con questo nuovo libro arrivo al Postulato dell’Essere. Che dice: Uno è la totalità di ciò che esiste ed è dinamico, olistico e vuole conoscere se stesso».
E il tutto è più della somma delle parti.
«Scienza e spiritualità unite possono produrre qualcosa di incommensurabilmente più potente della loro somma, proprio come l’unione di un elettrone e di un protone forma un atomo di idrogeno».
Una visione nuova che ci mostra che alla base della realtà non c’è competizione, ma collaborazione.
«Lo scientismo afferma che l’unica ragione della vita è la sopravvivenza del più adatto. Significa che se io sono più adatto di te, ti elimino. Questa ideologia porta al dominio dei potenti, a quelli che si autoproclamano i più adatti, alimenta guerre e auto distruzione. Invece l’aspetto fondamentale dell’universo è la cooperazione, non la competizione. Nel nostro corpo ci sono 50 trilioni di cellule che devono cooperare perfettamente per formare un organismo unitario».
Faggin indica la strada, ma sta a noi trovarla con un processo di introspezione. Come? «Prendendoci cura di noi stessi. Dobbiamo accettare e aprirci ai nostri sentimenti più profondi, anche a quelli che non ci fanno piacere. I sentimenti ci rivelano chi siamo. E se non siamo contenti, dobbiamo capire il perché».
Cosa le direbbe oggi suo padre filosofo?
Direbbe: «Ma finalmente, bravo. Sono arrivato alla spiritualità dalla materia. E ora devo provare questa teoria, perché io faccio scienza, non filosofia».
C’è però un problema alla base di questa rivoluzione. E siamo noi stessi. «Se vogliamo avere un futuro migliore, dobbiamo tutti assieme operare per un radicale cambiamento di rotta e cambiare idea su chi siamo».
Noi, noi che crediamo che un computer possa fare più di noi. «Un computer non capisce niente. Fa errori. Non si accorge di sbagliare e per capire dove sono gli errori ci vuole ancora l’uomo. Il computer ci imita molto bene, ma l’imitazione non è la realtà. La nostra sapienza ci ha reso cinici. La nostra intelligenza duri e spietati. Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchine abbiamo bisogno di umanità. Non di velocità, che è il pregio del computer, ma di lentezza per maturare e crescere».