Corriere della Sera, 7 gennaio 2024 – Il segretario di Papa Ratzinger ospite per un giorno in una parrocchia di periferia di Bergamo celebra il ricordo del Pontefice un anno dopo la scomparsa:
«La sporcizia nella Chiesa è il suo grosso problema», dice il monsignore. Le parole cadono nel silenzio in una stanza in cui si parla con cautela e attenzione di fede e teologia, di gerarchie vaticane e scelte pastorali, per un attimo monsignor Georg Gänswein descrive la paure di Benedetto XVI senza giri di parole aprendo una finestra su un mondo remoto e nascosto fino nei sentimenti.
Trascorrere la giornata dell’Epifania in una parrocchia della periferia di Bergamo non è stata una scelta qualunque, per quello che fu per vent’anni il segretario di Joseph Ratzinger, visto che proprio il 6 gennaio è l’anniversario della sua ordinazione episcopale. Il primo a stupirsene è don Daniel Roncaglia, parroco del Sacro Cuore, nel quartiere Carnovali, che aveva invitato Gänswein in ottobre: «Era una possibilità insperata. Averlo qui è la congiunzione con Benedetto XVI, che ancora oggi continua a svolgere la sua azione per la Chiesa».
Ne è uscita una giornata con un’affollata messa al mattino, i Vespri in serata e un incontro pubblico con 160 persone al pomeriggio, con i Templari Cattolici della Val Seriana a fare servizio d’ordine e volontariato, e come uniche persone note il presidente della Sacbo, la società dell’aeroporto di Orio al Serio, l’ex deputato dem Giovanni Sanga e monsignor Gaetano Bonicelli, ma nessuno dalla Curia di Bergamo. E alla fine tanta gente che attornia il monsignore, si fa autografare libri, firmare fototessere, benedire immaginette e scattare dei selfie, un sacerdote si mette al suo fianco e si fa fotografare alzando il pollice, e uno spettatore cerca di imbastire sui due piedi un dibattito su fede e ragione.
L’incontro era strettamente imperniato sul racconto su un Ratzinger visto da vicino e senza domande dall’esterno. Gänswein, di sé, accenna solo quando avvertì il «suono molto lontano» della vocazione e della prima conoscenza di Ratzinger attraverso la lettura di un suo libro di cui capì «abbastanza poco».
Descrive un uomo «la cui vocazione era quella del professore universitario e non la carriera ecclesiastica», tanto che «non era nato per esercitare il potere». Ma una volta arrivato al Soglio, affrontando questioni come la pedofilia, «aveva un forte senso di responsabilità: già da cardinale aveva visto che il grosso problema della Chiesa non sono le persecuzioni o gli attacchi da fuori, ma la sporcizia che è prodotta all’interno. Questo gli costava molto. Non l’abbiamo mai visto piangere perché era molto controllato e dominava le emozioni ma soffriva».
Gänswein fu uno dei primi a cui Benedetto XVI parlò della sua volontà di rinunciare al Papato: «Fu un colpo durissimo. Gli dissi: “Santo Padre, non può farlo”. Ma mi spiegò che aveva lottato e aveva sofferto, ma non aveva più le forze fisiche e psichiche per esercitare quella responsabilità. Non c’entrano le lobby gay, lo Ior, la pedofilia, Vatileaks. Non è fuggito, non ha detto “ne ho le tasche piene”, ma ha rinunciato per amore di Dio e della Chiesa. Aveva detto fin dall’inizio “il mio pontificato sarà breve” per l’età, e dopo la rinuncia era convinto che non avrebbe vissuto più di un anno».
Gänswein svicola alla domanda sui rapporti con Papa Francesco, ma ammette qualche dissidio con Giovanni Paolo II: «Parlavano almeno una volta la settimana, c’erano differenze sugli incontri di Assisi, le canonizzazioni e altre questioni, ma discutendo le superavano. Il pontificato di Giovanni Paolo senza Ratzinger non sarebbe stato lo stesso, per lui è stato un amico fidato e lo ha riconosciuto pubblicamente».
Alza un sopracciglio quando l’intervistatore Marco Roncalli ricorda soprannomi come «Panzerkardinal» o «Rottweiler di Dio»: «Era stato al Concilio da giovane e difendeva il Concilio vero, mentre qualcuno lo voleva interpretare. Hans Kung era invidioso, gli disse che da progressista era diventato conservatore per fare carriera, ma non era vero, voleva solo difendere la vera fede. Quando divenne Papa disse: non ho un programma di governo ma voglio mettere al centro del Pontificato la questione di Dio, il resto poi si aggiusta. Era una persona che può essere riassunta in tre parole: umile, mite e intelligente».
Infine gli ultimi anni, con giornate trascorse tra preghiere, messe, contemplazioni e rosari, e ogni tanto i film di don Camillo: «Guardandoli un tedesco capisce bene l’anima italiana, che da allora non è poi cambiata molto. Guareschi era un ottimo teologo, era meglio di certi professori che fanno discorsi che non si capiscono». Anche da questo si può provare a immaginare un Ratzinger meno serioso di quando si possa pensare: «Se si va su Google e si scrive la parola “gioia” si ottiene come risultato Benedetto XVI. Per lui era una parola chiave: la fede non è un fardello, ma la gioia ne era uno dei suoi frutti, come anche il suo sottile umorismo». Vent’anni a fianco di un uomo diventato Papa non trascorrono indenni, ammette Gänswein: «Sento la sua onnipotenza spirituale ma la sua presenza fisica mi manca molto».
Per fare le pulizie e capire dove pulire, bisogna attendere che il grano e la zizzania crescano insieme, solo così vedremo la zizzania facendola crescere altrimenti si nasconde sotto il GRANO. La pazienza è la virtù dei forti.