Arrivavano dagli alpeggi della penisola
In questi scenari dell’avvenire colorati di sogni e di
desideri inappagati
Prima dei giorni di festa
Dopo la fine dei pascoli
E il ritorno agli ovili di casa
I pastori con il canto delle loro zampogne
E se ne andavano per le vie a ricordare ai fedeli
Con quella malinconica cantilena evocativa
Il lontano miracolo
Ormai tradizionale
Della più bella storia
E del più grande mistero
Del mondo
Intanto si preparavano i presepi nelle chiese e nelle case dei
villaggi
Insieme ai riti e alle preghiere per la nascita del figlio di Dio
Dalle metropoli ai paesi e ai piccoli villaggi la stessa liturgia di
gioia e di ringraziamento per questa santa celebrazione
Pareva a tutti una dovuta preghiera questo incontro con la
sacralità della vita
Con il rispetto e con la dignità
Di questa storia semplice
Una capanna povera
Una mangiatoia
Il bue e l’asinello
Una culla
Il tepore umido della piccola stalla
Il sacrificio di un lungo viaggio alle spalle
Il calore e l’amore di una famiglia
Come tante
E la nascita del figlio dell’Onnipotente
Un palcoscenico umile di un fatto che si preparava ad
attraversare il mondo conquistandone la gioiosa
Riconoscente e fedele devozione
In cielo la luce delle stelle e il bagliore delle grandi costellazioni
In terra qualche timido
Tremante lume di candela
Il vestito delle grandi occasioni
Dalla steppa ventata del nord ai deserti solinghi del sud
Una coltre di neve
E una sottile
Gelida brezza
Per un grande miracolo che avrebbe cambiato la storia del
mondo
Ora la pietà
La fede e la misercordia sono svanite
Pare si siano trasformate in feste laiche
In danze sfrenate
In una selva di abeti tolti dal bosco e impiccati nelle piazze
Gonfi di decori luminosi e di biglie colorate appese a sbalzo in
balia del vento decembrino
E in una slitta ricolma di doni che un fantomatico babbo natale
Di pura invenzione commerciale
Porta ai bambini ignari
Diseducati al consumo
Grandi luminarie come in uno di quei mercati
Dove le merci sono messe in vendita
Insieme a frammenti di anima degli stessi acquirenti
Catalogate più secondo il prezzo che secondo il valore
A questa generazione ingannata fin dall’infanzia
Dai miti delle luminarie
Dall’oro fasullo ostentato sul corpo
Sazia di luci artificiali e di cibi industriali
Lentamente ubriacata da una congiura orchestrata a loro danno
Al loro spirito stanco
Alla loro coscienza
Colma di spazi vuoti e alle loro vite
Gelide dentro e scambiate da simboli fatui fuori
Ai loro colori senza passione
Senza convinzione
Ai loro cuori tatuati e dipinti senza fede
Ai grattacieli che vorrebbero sfidare e conquistare il cielo
Che ne deride le dimensioni e l’inutile slancio
Sempre più piccole
Ridicole e inutili gabbie dell’egoismo e dell’arroganza dell’uomo
Alle autostrade che hanno ricoperto il pianeta in una rete
spietata
Risponde dall’alto dei cieli
Dall’universo delle stelle
La umile storia di quella stalla
Di quella greppia
Semplici simboli contadini
Vivi da secoli nella terra del lavoro e della fatica
Semplici protagonisti
Umili e struggenti testimoni
Del più grande miracolo del mondo
Sicuri che quell’esagerato e vano sfoggio di luminarie
E di fantomatiche tecnologie
Quegli alberi incatenati e soffocati
Presto saranno dimenticati
Insieme alla insana coreografia mercificata
E al chiasso mediatico della comunicazione
Che li accompagna
O si spegneranno da soli nel gelo dell’inverno
Mentre si ravviveranno come succede ormai da millenni
Il calore della fede
La fortificazione della speranza
La suggestione della preghiera
Il canto di gioia e di lode
La luminosità e lo splendore
La sacra saga
Di quella capanna
Indimenticata e solenne
Custode del dono più grande
Del prezioso gioielo
Che Dio
Onnipotente
Re dei re
Signore delle costellazioni e delle vie del cielo
Potesse fare al mondo