STEFANIA CELENZA: “L’ossessione del sessismo”

Colgo un articolo del 29 novembre 2023, di Alessandra Magliaro, su ANSA, dal titolo “Violenza contro le donne, le 10 frasi stereotipate da eliminare dal nostro linguaggio”, per fare alcune sommesse osservazioni.
Si inizia col narrare l’origine della “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (25 novembre)”.
Nel 2000 le Nazioni Unite hanno dedicato alla sensibilizzazione sulla violenza contro le donne, il 25 novembre, giorno in cui le sorelle rivoluzionarie Mirabal furono assassinate, nel 1960, per ordine del dittatore Trujillo, nella Repubblica Dominicana. Che strano, però. Si trattava di due rivoluzionarie donne. E di tutte le migliaia di rivoluzionari uomini trucidati dai più svariati regimi totalitari, di tutte le epoche, che dovremmo dire? I maschi sono martiri della rivoluzione, mentre le femmine sono vittime della violenza sulle donne… strano davvero.
Oggi, addirittura, la violenza contro le donne viene mostrata con le dimensioni di una pandemia globale. Il femminicidio, descritto in spaventevole progressione, è assunto come la più alta forma di reato in assoluto.
Ma non basta questa vittimizzazione totale del sesso femminile, non basta la condanna della violenza fisica, c’è bisogno di rettificare, di purificare, di censurare anche il linguaggio. Scrive la Magliaro “C’è poi una violenza fatta di parole, pressioni, umiliazioni e intimidazioni e colpevolizzazioni che è entrata nella nostra quotidianità – per strada, a casa, al lavoro, sui social media – e nessuna può dirsi al riparo, una violenza che può essere subdola, talmente reiterata da neppure farci più caso (le espressioni sessiste al lavoro, ad esempio). La conseguenza di questo linguaggio ‘comune’ è una forma di violenza psicologica che danneggia fortemente, giorno dopo giorno, l’autostima delle donne. Le parole hanno il potere anche di rafforzare certi pregiudizi e giustificare comportamenti aggressivi. Sono infatti proprio i modi di parlare, spesso radicati in vari pregiudizi, a diventare modi di pensare e vanno combattuti, eliminati, devono essere l’obiettivo di una battaglia culturale da compiere tutti, quotidianamente, non pensando che sia una piccola cosa. E’ una prima rivoluzione culturale da fare insieme, uomini e donne (si anche le donne perché a volte certe espressioni di routine, certe frasi fatte le sentiamo pronunciare persino dalle donne)”.
Osserva, al proposito, anche Sara Grippo, che sostiene la associazione “Donne in rete contro la violenza”, a sua volta collegata a “Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate” di Milano:
Se consideriamo che il linguaggio è il filtro principale attraverso il quale percepiamo il mondo, è evidente che influenza il modo in cui ci relazioniamo e formuliamo giudizi sugli altri. La parola ha un grande potere e purtroppo ci sono molte espressioni quotidiane che confermano il pregiudizio subconscio secondo cui gli uomini sono intellettualmente, fisicamente e moralmente superiori alle donne”.
Pertanto, così redarguiti ed opportunamente istruiti, siamo inibiti all’utilizzo di certo linguaggio.
Ecco una lista di espressioni che sono state attribuite ad un vetusto retaggio culturale, grande ostacolo all’equità di genere, di cui dobbiamo liberarci inderogabilmente, come vuole la Magliaro:
Sul lavoro
Diverse espressioni utilizzate nel mondo del lavoro sminuirebbero le capacità delle donne, come “Questo lavoro non è adatto ad una donna” o “Datti ai fornelli”, ovvero, “Con chi sei stata per fare questo lavoro?” o anche “La mia capa/collega è acida, avrà il ciclo”.
Nei rapporti affettivi
Certe espressioni, secondo la suddetta esperta, pur palesando apparente amore, in realtà rivelerebbero intenzioni di controllo sull’altra persona, come “Se non stai con me, non puoi stare con nessuno” o “Perché non hai risposto subito al telefono?“, o anche “Vestita/truccata così non esci”.
Nelle relazioni personali
Si sostiene, altresì, che le donne che vivono una situazione di violenza hanno difficoltà ad uscirne, perché il maltrattante le umilierebbe al punto da distruggerne l’autostima “Zitta, a nessuno importa quello che dici“, oppure “Nessuno ti crederà” o ancora “Sei pazza, non è mai successo, ti inventi tutto“.
Dopo una infarinatura siffatta, volta, in sostanza, a far preferire il silenzio a qualsiasi espressione linguistica, Manuela Ulivi, Presidente della associazione “Donne in rete contro la violenza”, conclude con l’attribuire al linguaggio un ruolo centrale nel cambiamento culturale necessario per ottenere una svolta definitiva del fenomeno della violenza di genere.
Dal canto suo, il sociologo e filosofo francese Pierre Bourdieu rincara la dose, affermando “Il dominio maschile sulle donne è la più antica e persistente forma di oppressione esistente”. Secondo Bourdieu, si tratta di una costruzione mentale, una visione del mondo con la quale l’uomo appaga la sua sete di dominio. Una visione talmente esclusiva che le stesse donne, che ne sono le vittime, l’hanno integrata nel proprio modo di pensare e nell’accettazione inconscia di inferiorità. Anche lui si riporta al potere delle parole, perchè sarebbero le parole che possono cambiare il punto di vista… Per eliminare alla radice gli innumerevoli episodi di discriminazione o aggressione verbale, in maniera davvero efficace, è necessario, sempre secondo Bourdieu, riconoscere e “neutralizzare” espressioni e stereotipi comunemente accettati, che emergono anche nelle conversazioni più banali. La narrativa tossica, creata da un linguaggio sessista, fa spesso da anticamera a fenomeni di violenza fisica, oltre che di abuso verbale, e contribuisce in maniera significativa a una percezione distorta della violenza di genere, in ogni sua forma.
Secondo tali studiosi, il danno più subdolo è che fischi, appellativi, saluti e apprezzamenti di ogni tipo, da parte di perfetti sconosciuti, accompagnano da sempre la quotidianità delle donne… E’ sbagliato considerarli, come è stato fatto per secoli, come dei semplici gesti goliardici, innocui o persino galanti, oggi questi comportamenti vengono finalmente disvelati sotto la loro vera connotazione, che mette in evidenza il peso e le conseguenze che hanno per chi veste, suo malgrado [cfr le donne], i panni di “bersaglio”.
Insomma, oltre che lo stesso comportamento, anche il linguaggio oggi è diventato un campo minato, sia che si tratti di azzeccare la grammatica, sia che si ricorra a espressione cosiddette “d’uso comune”.
Allo scopo, è stata disturbata anche l’Accademia della Crusca, che ha condiviso, con il Comune di Firenze, il Progetto “Genere e Linguaggio” e che ha delineato, con la professoressa Cecilia Robustelli, docente di Linguistica all’Università di Modena e Reggio Emilia e massima esperta della materia, le Linee Guida per l’uso del genere, nel linguaggio amministrativo, nella convinzione che «La questione travalica l’aspetto puramente lessicale e tocca l’immaginario culturale collettivo, la percezione del ruolo femminile della società». Osserva, ancora, la docente «L’uso corretto del femminile nei documenti pubblici dà visibilità alle donne e aiuta a trasmettere informazioni precise e chiare, limita le disambiguazioni e abitua le persone a un linguaggio conforme alla grammatica»…

Perdonatemi, ma io mi fermo qui. Non sono capace di andare oltre.
Tutto questo, al contrario di quanto viene propagandato, mi fa solo pensare davvero ad una evidente condizione di inferiorità del genere femminile. E lo dico a voce alta, da donna.
Proprio lo sforzo, l’impegno e la fatica di simili estremismi interpretativi, proprio la capacità di arrampicarsi sugli specchi per sostenere l’insostenibile, per contraddire l’evidenza e per negare la certezza della natura, rivelano la condizione di inferiorità mentale, intellettuale e culturale di chi li compie. Professare le teorie sopraesposte palesa una chiara forma di ossessione, smaschera un vero e proprio complesso di inferiorità.
Dichiararsi migliori degli uomini è di per sé una confessione di inferiorità.
Oltre a ciò, c’è una cosa che io non ho mai tollerato nella mia vita, ricordo bene financo quando ero bambina: che mi si chiuda la bocca, che mi si impedisca di parlare, che mi si imponga di dire o di non dire qualcosa.
Continuerò a pensare e a dire che “questo lavoro non è adatto ad una donna”, perché è vero, perché non ho mai visto una donna manovale o una donna minatore, per il semplice, banale motivo che non è un lavoro adatto ad una donna e per il semplice incontrovertibile motivo che le donne sono strutturalmente, fisicamente, mentalmente, geneticamente, ormonalmente diverse dagli uomini.
La parità fra uomo e donna è stato l’obbrobrio più clamoroso che sia stato mai concepito.
Persino nel campo del Diritto, riservare trattamenti giuridici identici a soggetti tra loro diversi costituisce una intrinseca ingiustizia.

Lastra a Signa, 14 dicembre 2023

Avv. Stefania Celenza

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