Non era ancora stato ritrovato Filippo Turetta, lo studente accusato di aver ucciso l’ex fidanzata Giulia Cecchettin, che, all’indomani del ritrovamento del suo cadavere, si è scatenata istantaneamente l’ intellighenzia mediatica, all’insegna di una presunta recrudescenza del cosiddetto femminicidio, dovuto ad una cultura patriarcale e maschilista, alla violenza naturale del maschio, alla retrocultura del patriarcato.
Il fenomeno è stato immediatamente presentato, anche ai massimi livelli istituzionali, come “Emergenza nazionale Femminicidio”.
Quando, non più di una settimana prima, lunedì 13 novembre 2023, è morta la piccola Indi Gregory, non è scattata la stessa reazione, da parte dei media, nè delle Istituzioni Italiane, che pure avevano tentato di salvarla, non si è parlato di “Emergenza Eutanasia”, non si sono visti cortei, fiaccolate, manifestazioni di pubblico sdegno, come, invece, sono sorti, con tempistica fulminea, nel caso dell’omicidio, pardon femminicidio, Cecchettin.
Tutto il nostro cordoglio per l’orribile uccisione di Giulia, ugualmente sentito come il cordoglio per l’altrettanto orribile uccisione di Indi.
Ma non voglio rischiare di andare fuori tema…
E’ stato già detto della informazione distorta, deviata a sommo studio, per incidere sulla nostra percezione della realtà. L’aumentata spinta a far sporgere denunce (denuncite) e la massiccia presenza mediatica restituiscono, infatti, al cittadino la percezione sbagliata di un incremento del crimine e della violenza sulle donne, in particolare.
È chiaro che più i media parlano di un fenomeno, più noi abbiamo la sensazione di un suo effettivo incremento reale, quando, invece, significa solo che tale fenomeno viene maggiormente trattato. Si entra, quindi, in un circolo vizioso, per cui più la società viene sensibilizzata contro la violenza sulle donne, più sembrerebbe che la violenza stessa aumenti, quando, invece, si è visto che è vero il contrario.
Infatti, non esiste nessun motivo che possa giustificare gli allarmismi di una recrudescenza della violenza. Questo vale appunto in generale, ma anche nello specifico della violenza di genere. Gli omicidi di donne sono un fenomeno stabile, tendenzialmente in calo qualsiasi sia l’anno preso come riferimento: oscillano, per esempio, fra i 160 (1998) e i 131 (2010).
Gli omicidi tout court, nella casistica criminale, mostrano inequivocabilmente che la violenza della nostra società si è ridotta. Ad esempio, se nel 1992 ci sono stati in Italia 1.275 omicidi, nel 2010 se ne sono registrati 466.
Per comprendere il fenomeno di siffatta fasificazione delle notizie, si guardi quali sono le fonti di questi articoli giornalistici, dalle titolate a tutta pagina. Non si tratta affatto di fonti attendibili, come l’Istat o il Ministero dell’Interno. I dati diffusi dai media provengono quasi esclusivamente dall’Osservatorio dell’associazione Telefono Rosa e altre associazioni in difesa della donna, che annualmente producono report basati, appunto, sull’analisi dell’incidenza di certi reati sui media.
Il metodo, ovviamente, non è affatto scientifico e produce risultati, come è ovvio, non già in base alla reale frequenza dei reati, ma in relazione all’esposizione mediatica degli stessi reati.
Una volta stabilito che non esiste alcun fenomeno di recrudescenza della violenza contro le donne, vorrei provare a capovolgere il punto d’osservazione.
Invece di parlare (e straparlare) di violenza sulle donne, sarebbe utile conoscere la portata opposta del fenomeno, quello della violenza delle donne.
La violenza, compresa quella di genere, è soprattutto una questione di potere.
“Le donne sono più spesso vittime della violenza non perché siano meno ‘cattive’ o più ‘buone’ degli uomini, ma perché storicamente si sono sempre trovate nella situazione di debolezza. Scontano secoli di sottomissione, interiorizzata da chi la esercita e da chi la subisce” come sottolinea la filosofa Iris Murdoch. Ma il fatto di essere vittima di violenza non significa che la donna non sia autrice essa stessa di violenza.
Gli autori degli infanticidi (da zero a sei anni) sono nel 90% dei casi le madri.
Le statistiche dell’ Ami (Associazione Matrimonialisti Italiani), che prendono in esame i dati dell’ISTAT, riportano che dal 1970, al 2008 si siano consumati 378 infanticidi, con la media di circa 9,9 all’anno. Dal 2001 al 2008, vi sono stati 58 infanticidi commessi dalle madri. Si tratta di 58 infanticidi in 7 anni, ovvero 8,28 infanticidi all’anno.
Altre statistiche criminologiche, nello specifico del fenomeno del figlicidio, mostrano dati comunque sbilanciati sulle donne. Su un totale di eventi omicidiari pari a 223, all’interno dei quali si ritrovano coinvolti 233 autori, il 45,9% sono maschi ed il 54,1% sono femmine e 258 vittime, delle quali il 51,9% sono maschi e il 48,1% sono femmine.
Comunque sia, questi dati dimostrano inequivocabilmente come la violenza femminile si concentri sui bambini, essendo questi più esposti alle donne a livello temporale, rispetto agli uomini (esattamente come le donne hanno una più alta possibilità di essere uccise in famiglia, che da uno sconosciuto). Oltre a ciò, i bambini sono fisicamente più vulnerabili alla forza fisica delle donne (cosa che generalmente non si realizza con gli uomini adulti, infatti).
Le donne uccidono meno gli uomini, perché sono fisicamente meno portate a farlo, non moralmente o culturalmente, quindi. Le donne uccidono maggiormente i bambini per gli stessi motivi. Le donne uccidono percentualmente più donne che uomini, sempre per gli stessi motivi. Infatti, le donne assassine uccidono nel 61% dei casi donne e nel 39% dei casi uomini. Gli uomini assassini uccidono nel 31% dei casi donne e nel 69% dei casi uomini.
L’uomo e la donna, in quanto esseri umani, sbagliano certamente, ma sbagliano entrambi e nessuno più dell’altro. Per questo, non è giusto e non è corretto criminalizzare nessuno dei due. Occorre, invece, esaltarne le differenze e la loro innata potenzialità di amore, verso di loro e verso le loro creature.
Naturalmente, questo non significa che non ci si debba impegnare in campagne contro la violenza, che rimane un fenomeno endemico, da debellare per quanto possibile, ma bisogna rifuggire gli allarmismi strumentali, che direttamente o indirettamente ci spingono a diffidare dell’uomo, del compagno, del marito, della famiglia, che ci inducono a credere che la nostra società stia diventando sempre più insicura e violenta, quando è palesemente vero il contrario.
Per concludere, in luogo di mobilitarci stupidamente dietro “emergenze” inesistenti (chissà perché, ultimamente, cresce tutta una serie ininterrotta di emergenze di ogni tipo, sanitaria, climatica, ecologica, energetica, economica, bellica), dovremmo invece fermarci.
Fermarci a riflettere, a capire e a riconoscere la verità della vita, delle cose, degli affetti, delle persone e soprattutto dell’amore.
“L’amor che move il sole e l’altre stelle”.
Lastra a Signa, 20 novembre 2023
Avv. Stefania Celenza