“L’acqua la insegna la sete”
(Emily Dickinson)
Le Foreste a precedere le civiltà, i Deserti a seguire.
(François-René de Chateaubriand)
La mia sete è quella profonda
E intensa della tua terra
È la fragranza del profumo delle olive
È il lamento velato
Della chioma dei lecci
Intrecciata al soffio rovente dello scirocco
È la somma dei desideri inappagati
È la magia del colore dei tuoi occhi
È la lieve armonia della tua voce
Suadente invito a una pausa ristoratrice
È il fascino di quegli scogli sulla riva del mare
È la tela pittorica del casale
E il sorriso invitante del tuo sguardo
Che mi ritorna spesso in mente
Sento le note della festa
Vivo l’euforia delle danze
Di quel lontano giorno d’estate
L’ansia di quell’incontro gioioso
Di quell’interminabile bagliore dell’anima
Mi soffermo
Pensoso al limitare del sogno
Per portare con me un poco di quell’incanto
Di quel dolce
Insistente senso di abbandono
Che la tua terra dispensa a chi la ama
Penso spesso a quelle grandi mani
della povera vecchia
Protese
Frammento di umana miseria
Ad invocare il bramato nettare ristoratore
Sacro agli Dei
Simbolo eterno di speranza
Solenne purificazione dal peccato
Sollievo all’arsura della carne
E alla sete dei deserti
Nel letargo infinito delle stagioni
Io cerco l’amore in questo frammento di vita
Vagabondo incerto
Sommerso nel silenzio più protettivo e arrogante
Con la stessa ardente bramosia di un tronco
Scavato da mille carestie
Rincorro questo antico sogno
E mi nutro di passione
Di sonore dimenticanze
Di privilegi
Di dubbi
Avido quanto sono di limpide
Trasparenti sorgenti
Di sincera
Innocente
Umana dedizione
Ma poi arrivavano gli anni della siccità, e a volte non c’erano più di quindici o venti centimetri di
pioggia. Il terreno inaridiva e l’erba spuntava misera, alta appena pochi centimetri, e nella valle
comparivano chiazze nude e scabre.
(John Steinbeck)