(Relazione svolta nella videoconferenza su “La legittimità della guerra nell’ebraismo, cristianesimo e islam”, organizzata dalla Casa della Civiltà, lunedì 13 novembre 2023)
Il termine GUERRA deriva dall’antico tedesco WERRA, divenuto in italiano guerra ed in inglese war e significa “contesa, baruffa”. La guerra si può definire come la contesa armata tra due o più stati o popoli.
Nella Sacra Scrittura la prima guerra la vediamo descritta nel capitolo 14 della Genesi. I re Elamiti invadono parte della zona che oggi corrisponde a Israele, sconfiggono i re locali, tra cui quelli di Sodoma e Gomorra e catturano Lot nipote di Abramo con tutte le sue sostanze. Abramo con un esercito di trecento uomini sbaraglia i rapitori del nipote e lo libera.
Le guerre sono sempre esistite e per i cristiani quando prendono le armi risuonano le parole dette da Gesù, che impongono serie e drammatiche riflessioni.
«Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due.» (S. Mt 5,38-41)
«Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro.» (S. Lc 6,27-31)
Tra i primi cristiani vi erano anche militari i quali non consideravano la loro situazione in contrasto con le frasi di Gesù sopra menzionate. Primo perché questo invito era rivolto a ciascun singolo cristiano, non alla collettività. Secondo perché quelle frasi erano un invito alla perfezione evangelica. Per la salvezza, dice Gesù, devi osservare i comandamenti.
«Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”. Egli allora gli disse: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza”. Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!” Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni». (S. Mc 10,17-22)
Tra i Padri della Chiesa il primo o, quantomeno tra i primi, ad occuparsi del rapporto tra il cristiano e la guerra fu Sant’Agostino. Nella lettera scritta nel 417 al generale romano Bonifacio, gli conferma la legittimità del vestire l’uniforme militare per il cristiano e gli dice: «Quando, perciò, indossi le armi per combattere, pensa anzitutto che la tua stessa vigoria fisica è un dono di Dio; così facendo non ti passerà neppure per la mente di abusare d’un dono di Dio contro di lui. La parola data, infatti, si deve mantenere anche verso il nemico contro il quale si fa guerra; quanto più dev’essere mantenuta verso l’amico per il quale si combatte! La pace deve essere nella volontà e la guerra solo una necessità, affinché Dio ci liberi dalla necessità e ci conservi nella pace! Infatti, non si cerca la pace per provocare la guerra, ma si fa la guerra per ottenere la pace! Anche facendo la guerra sii dunque ispirato dalla pace in modo che, vincendo, tu possa condurre al bene della pace coloro che tu sconfiggi. Beati i pacificatori – dice il Signore – perché saranno chiamati figli di Dio. … Sia pertanto la necessità e non la volontà il motivo per togliere di mezzo il nemico che combatte. Allo stesso modo che si usa la violenza con chi si ribella e resiste, così deve usarsi misericordia con chi è ormai vinto o prigioniero, soprattutto se non c’è da temere, nei suoi riguardi, che turbi la pace».
Sant’Agostino dichiara che guerra è lecita solo quando è necessaria e sua finalità è quella di ristabilire la pace. La guerra non deve essere fatta per eliminare un avversario, ma per impedire un pericolo, un male. Lo scopo della guerra è la pace. Va usata la magnanimità nei confronti del vinto, ma è necessario metterlo in condizioni di non poter più turbare la pace, altrimenti non è misericordia ma stoltezza.
Ad affrontare più dettagliatamente la problematica fu San Tommaso D’Aquino (1225-1274) nella Summa Theologiae, con il metodo dell’argomentazione contraria, di quella a favore e della sintesi.
Si afferma che la guerra sia peccato per quattro motivi:
- Il castigo è inflitto solo per un peccato. Ora, il Signore minaccia un castigo a chi combatte: «Tutti coloro che prenderanno la spada periranno di spada». Dunque, qualsiasi guerra è illecita.
- Quanto si oppone ai precetti di Dio è peccato. Ma combattere è contrario al precetto di Dio; poiché sta scritto: «Io invece vi dico di non fare resistenza al malvagio»; e altrove: «Non vendicatevi da voi stessi, o carissimi, ma date luogo all’ira». Perciò far guerra è sempre peccato.
- Niente all’infuori del peccato è incompatibile con una virtù. Ma la guerra è incompatibile con la pace. Dunque, la guerra è sempre peccato.
- L’esercitarsi in qualsiasi cosa lecita è sempre lecito: il che è evidente nelle esercitazioni scientifiche. Invece gli esercizi bellici, che si fanno nei tornei, sono proibiti dalla chiesa: poiché chi muore in codesti esercizi viene privato della sepoltura ecclesiastica. Quindi la guerra è peccato in senso assoluto.
A favore della guerra riporta quanto scritto da Sant’Agostino: «Se la religione cristiana condannasse totalmente le guerre, nel Vangelo, ai soldati che chiedevano un consiglio di salvezza, si sarebbe dato quello di abbandonare le armi, e di fuggire la milizia. Invece fu loro detto: “Non fate violenze a nessuno; contentatevi della vostra paga”. (S. Lc 3,14) Perciò non viene proibito il mestiere del soldato a coloro cui viene comandato di contentarsi della paga».
Tommaso D’Aquino conclude che: «Perché una guerra sia giusta si richiedono tre cose. Primo, l’autorità del principe, per ordine del quale deve essere proclamata. Infatti, una persona privata non ha il potere di fare la guerra: poiché essa può difendere il proprio diritto ricorrendo al giudizio del suo superiore. E anche perché non appartiene ad una persona privata raccogliere la moltitudine, cosa che è indispensabile nelle guerre. E siccome la cura della cosa pubblica è riservata ai principi, spetta ad essi difendere lo stato della città, del regno o della provincia cui presiedono. E come lo difendono lecitamente con la spada contro i perturbatori interni, col punire i malfattori, secondo le parole dell’apostolo: “Non porta la spada inutilmente: ché è ministro di Dio e vindice nell’ira divina per chi fa il male”; così spetta ad essi difendere lo stato dai nemici esterni con la spada di guerra. Ecco perché ai principi vien detto nei Salmi: “Salvate il poverello, e il mendico dalle mani dell’empio liberate”. E S. Agostino scrive: “L’ordine naturale, indicato per la pace dei mortali, esige che risieda presso i principi l’autorità e la deliberazione di ricorrere alla guerra”.»
Secondo, si richiede una causa giusta: e cioè una colpa da parte di coloro contro cui si fa la guerra. Scrive perciò S. Agostino: «Si sogliono definire giuste le guerre che vendicano delle ingiustizie: e cioè nel caso che si tratti di debellare un popolo, o una città, che han trascurato di punire le malefatte dei loro sudditi, o di rendere ciò che era stato tolto ingiustamente».
Terzo, si richiede che l’intenzione di chi combatte sia retta: e cioè che si miri a promuovere il bene e ad evitare il male. Ecco, perciò, quanto scrive S. Agostino: «Presso i vari adoratori di Dio son pacifiche anche le guerre, le quali non si fanno per cupidigia o per crudeltà, ma per amore della pace, ossia per reprimere i malvagi e per soccorrere i buoni». Infatti, può capitare che, pur essendo giusta la causa e legittima l’autorità di chi dichiara la guerra, tuttavia la guerra sia resa illecita da una cattiva intenzione. Dice perciò S. Agostino: «La brama di nuocere, la crudeltà nel vendicarsi, lo sdegno implacabile, la ferocia nel guerreggiare, la smania di sopraffare, e altre cose del genere sono giustamente riprovate nella guerra».
Ma come conciliare quanto detto col comando divino di non restituire male per male? San Tommaso nuovamente si rifà al Santo Vescovo d’Ippona: in certi momenti si rende necessario l’intervento della forza, specie se è in gioco il bene comune o addirittura il bene di coloro contro i quali si combatte. A volte la guerra è un bene per chi la subisce. Gli si toglie la libertà di fare il male impunemente e gli si sottrae quella tranquilla felicità del malfattore, che rafforza la spavalderia degli impuniti e la loro mala volontà: la guerra. Contro l’ingiustizia è lecito usare la spada.
In un luogo parallelo San Tommaso ricorda che alcune guerre vanno combattute e che, a seconda del proprio stato, in alcuni casi non ci sono scuse che si possano addurre. Se c’è un bene importante da perseguire si deve andare fino in fondo, esercitando appunto la virtù di forza, che fa andare anche incontro alla morte o quantomeno si deve esser pronti a rischiarla. La propria vita, ma anche – specie in guerre che si fanno senz’armi – altri beni come l’agiatezza o la reputazione, devono essere messi a servizio della causa del bene, il che significa che l’uomo deve essere pronto ad affrontare anche la morte nella difesa del bene comune con la guerra giusta.
Molti tirano in ballo S. Giovanni Paolo II con riferimenti a sue asserite posizioni pacifiste o belliciste. I suoi scritti e i suoi discorsi sono chiari sul punto.
Discorso al corpo diplomatico del 13 gennaio 2003:
«No alla guerra! La guerra non è mai una fatalità; essa è sempre una sconfitta dell’umanità. Il diritto internazionale, il dialogo leale, la solidarietà fra Stati, l’esercizio nobile della diplomazia, sono mezzi degni dell’uomo e delle Nazioni per risolvere i loro contenziosi. Dico questo pensando a coloro che ripongono ancora la loro fiducia nell’arma nucleare e ai troppi conflitti che tengono ancora in ostaggio nostri fratelli in umanità. A Natale, Betlemme ci ha richiamato la crisi non risolta del Medio Oriente dove due popoli, quello israeliano e quello palestinese, sono chiamati a vivere fianco a fianco, ugualmente liberi e sovrani, rispettosi l’uno dell’altro. Senza dover ripetere ciò che dicevo l’anno scorso in questa stessa circostanza, mi accontenterò oggi di aggiungere, davanti al costante aggravarsi della crisi mediorientale, che la sua soluzione non potrà mai essere imposta ricorrendo al terrorismo o ai conflitti armati, ritenendo addirittura che vittorie militari possano essere la soluzione. E che dire delle minacce di una guerra che potrebbe abbattersi sulle popolazioni dell’Iraq, terra dei profeti, popolazioni già estenuate da più di dodici anni di embargo? Mai la guerra può essere considerata un mezzo come un altro, da utilizzare per regolare i contenziosi fra le nazioni. Come ricordano la Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Diritto internazionale, non si può far ricorso alla guerra, anche se si tratta di assicurare il bene comune, se non come estrema possibilità e nel rispetto di ben rigorose condizioni, né vanno trascurate le conseguenze che essa comporta per le popolazioni civili durante e dopo le operazioni militari.»
Omelia del primo gennaio 2003
«Il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno rievoca l’enciclica “Pacem in Terris”, nel quarantennio della sua pubblicazione. […] Quando fu scritta nubi minacciose si profilavano all’orizzonte mondiale, e sull’umanità pesava l’incubo di una guerra atomica. Il mio venerato predecessore […] indicò con forza “la verità, la giustizia, l’amore e la libertà” come i “quattro pilastri” su cui costruire una pace durevole. Il suo insegnamento rimane attuale. […] Di fronte agli odierni conflitti ed alle minacciose tensioni del momento, ancora una volta invito a pregare affinché siano ricercati “mezzi pacifici” di composizione ispirati da una “volontà di intesa leale e costruttiva”, in armonia con i principi del diritto internazionale.»
Ma la chiarezza del suo pensiero emerge nel “Catechismo della Chiesa Cattolica” da lui direttamente approvato.
2307 – Il quinto comandamento proibisce la distruzione volontaria della vita umana. A causa dei mali e delle ingiustizie che ogni guerra provoca, la Chiesa con insistenza esorta tutti a pregare e ad operare perché la bontà divina ci liberi dall’antica schiavitù della guerra.
2308 – Tutti i cittadini e tutti i governanti sono tenuti ad adoperarsi per evitare le guerre. Fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un’autorità internazionale competente, munita di tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa.
2309 – Si devono considerare con rigore le strette condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza militare. Tale decisione, per la sua gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale. Occorre contemporaneamente:
- che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo;
- che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci;
- che ci siano fondate condizioni di successo;
- che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare.
Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione. Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della guerra giusta. La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune.
2310 – I pubblici poteri, in questo caso, hanno il diritto e il dovere di imporre ai cittadini gli obblighi necessari alla difesa nazionale. Coloro che si dedicano al servizio della patria nella vita militare sono servitori della sicurezza e della libertà dei popoli. Se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono veramente al bene comune della nazione e al mantenimento della pace.
2313 – Si devono rispettare e trattare con umanità i non combattenti, i soldati feriti e i prigionieri. Le azioni manifestamente contrarie al diritto delle genti e ai suoi principi universali, non diversamente dalle disposizioni che le impongono, sono crimini. Non basta un’obbedienza cieca a scusare coloro che vi si sottomettono. Così lo sterminio di un popolo, di una nazione o di una minoranza etnica deve essere condannato come peccato mortale. Si è moralmente in obbligo di far resistenza agli ordini che comandano un genocidio.
2314 – Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato. Un rischio della guerra moderna è di offrire l’occasione di commettere tali crimini a chi detiene armi scientifiche, in particolare atomiche, biologiche o chimiche.
Vorrei concludere con alcune osservazioni del Cardinale George Pell del 4 febbraio 2003 con riferimento alla guerra in Iraq ed alla posizione dell’Australia: «Nel Vangelo di Matteo, leggiamo che quando i suoi avversari cercarono di prendere in castagna Gesù su questioni legate alle tasse, rispose: «Date a Cesare quello che è di Cesare – e a Dio quello che è di Dio». Quando va in guerra l’Australia lo decide il nostro governo, eletto democraticamente, ed è una delle sue responsabilità più gravi. Le decisioni sulla guerra appartengono a Cesare, non alla Chiesa. I cristiani quali ottiche possono offrire a Cesare? Il Vangelo sottolinea l’amore, il perdono dei nemici e la benedizione speciale per i portatori di pace. Ma riconosce anche la legittimità dell’autorità politica e il dovere di reprimere i malfattori. … Molti esponenti della minoranza cristiana perseguitata nell’Impero Romano pagano erano pacifisti, una posizione più facile da sostenere quando c’erano gli eserciti pagani a difendere i confini e a mantenere l’ordine interno. La posizione dei cristiani allora era come quella di quegli australiani di oggi che sono invariabilmente anti-americani, mentre beneficiano della pace americana conseguita negli ultimi 60 anni. Un mondo senza la superpotenza americana sarebbe molto più costoso e pericoloso per gli australiani. La teoria di una guerra giusta, definita per la prima volta da Sant’Agostino, nell’Africa del Nord nel V secolo, è stata da allora continuamente in divenire, e ha visto i politici e gli intellettuali delle forze armate, a volte anche di più dei teologi, alle prese con la fondamentale esigenza agostiniana che, perché una guerra sia giusta, essa debba avere un motivo giusto, un’autorità legittima e una retta intenzione. Oggi, [per] la teoria della guerra giusta … spuntano … altre tre precondizioni. La guerra dovrebbe essere l’extrema ratio, avere una probabilità di riuscire e non dovrebbe produrre mali ancora peggiori. Nel 1994 il catechismo della Chiesa cattolica limitò l’uso legittimo della forza militare al caso di difesa contro un’aggressione. Non comprendeva la possibilità di un intervento militare contro la pulizia etnica, il terrorismo e la guerriglia urbana. Adesso l’esigenza di impedire l’accesso delle reti terroristiche alle armi di distruzione di massa prodotte dagli stati canaglia costituisce una sfida significativa e prudenziale… Un altro criterio importante per una guerra giusta è che non si faccia del male ai civili non combattenti. In questo campo il XX secolo ha registrato un deterioramento terribile. Nella Prima guerra mondiale le vittime civili furono il 5 percento del totale e nella Seconda guerra mondiale furono il 50 per cento. In Vietnam, le vittime civili aumentarono ancora e arrivarono al 60/70 per cento. … Anche le persone di buona volontà che concordano sui criteri della guerra giusta a volte si divideranno nelle conclusioni pratiche. I governi decidono ma i cittadini dovrebbero poter discutere della moralità delle loro decisioni».
Molti dicono che la prima vittima della guerra sia la verità: per me è l’umanità. La cosa più terribile è uccidere un uomo; quando varchi questo limite, quando ti abitui ad uccidere rischi di perdere l’umanità. Questo è un rischio ineliminabile. Ogni diritto è coercibile, perciò ogni stato ha il diritto di usare la forza fisica per sostenere i propri diritti nei confronti degli altri stati. La guerra giusta non è contro la morale, me è un atto di giustizia come la difesa del diritto e la punizione del delinquente.
Gabriele Gatti