LA POESIA DI GIORGIO BONGIORNO: “Il soffio”

Il lampo che candisce
alberi e muro e li sorprende in quella
eternità d’istante.
(Eugenio Montale)

Una danza sfrenata di saette
dalle geometrie più intriganti e disparate
illuminava a tratti il sonno greve della campagna
e il silenzio gelido del bosco
Un soffio di luce dalla finestra
accompagnava fedele
il tepore del camino ancora acceso
e scoppiettante
qualche parola scambiata
per sentirsi vivi
tra l’eco dei suoni
i colori tenui della stanza
ancora davanti agli occhi
le pietre dorate dei muri lucidi
il tavolo ancora apparecchiato
i tuoi occhi impauriti
quando ci colse la tempesta
sentivo fuori
il gemito delle robinie
la pioggia impetuosa
di un diluvio senza tregua
un torrente scrosciante e
cristallino
pareva scendere dalle spalle
contavo i lampi
questi bagliori improvvisi
ad uno ad uno
ostinati
araldi di collere antiche
dardi infuocati
onnipotenti
quasi fossero il verdetto
di un tribunale dell’anima per me
per la mia vita randagia
a preservare la mia malinconia
ad assecondare la mia inquietudine e la nostalgia del distacco
Immagini di angeli e diavoli
insieme
eroi imbevuti di antiche leggende
burattini colorati di menzogna
schiavi dietro le quinte
schiamazzi di bimbi
filari di vite disegnati sulla collina
l’ultimo sorriso di mia madre
lungo
mesto
indimenticabile e ardito
attaccato ancora alla vita
un cumulo di pensieri
tanti frammenti di desiderio
cori di voci indistinte
sferzate dalla tempesta
finché spossato
Ricordo ancora
mi addormentai di un sonno
libero
stremato e spensierato
inconscio
fino a mattina inoltrata

Il tuono, lento dopo il fulmine,
passa con rombo pauroso.
Fitta, gelida la pioggia
s’abbatte in rovesci di scialbo argento
(Hermann Hesse)

Foto di copertina: “Il soffio” dal web

1 commento su “LA POESIA DI GIORGIO BONGIORNO: “Il soffio”

  1. Dove sono le geometrie dell’umido
    bosco coperto di muschi
    della luce residua
    sull’acquitrino di legni marci
    residui della calura
    di giorni antichi
    tempi di terre di Mezzo
    abitati dal mistero
    nelle faville del camino che scalda una lunga notte.
    Batte la pioggia a scroscio sui vetri
    riflette lo stridio
    dei fantasmi del passato che non passa aggrappato
    ai silenzi
    alla paura di perderti
    alla certezza che
    non sarai sola
    che troverai una stella
    a guidarti nel cammino
    anche quando
    non ci sarò
    quando non potrei
    tenerti stretta la mano
    per non lasciarti
    svanire nel tempo
    quando non sarà
    più la mia misura
    e tu il mio miraggio
    persi
    in questa pioggia
    in bagliori che mordono il buio
    e incendiano l’anima
    quando parlavi per scacciarli
    tra i silenzi di tregua
    dove sentivo il tuo respiro
    finalmente capivo che eravamo vivi
    nel nostro unico e privato Paradiso
    Un momento dopo
    eri scomparsa
    cullavo il sogno
    ed il giorno
    poteva
    ancora attendere.

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