Tempi, 26/09/2023 – «Azerbaigian e Turchia non vogliono fermarsi al Nagorno-Karabakh: il loro obiettivo è invadere tutta l’Armenia e portare a termine l’estinzione del mio popolo». Dichiara così a “Tempi” Antonia Arslan, la grande scrittrice che con i suoi libri ha fatto conoscere in tutto il mondo la grandezza degli armeni e i drammi che hanno vissuto nella loro lunga storia. Anche lei è sconvolta dall’invasione dell’Artsakh da parte dell’esercito di Baku ma, afferma, «me l’aspettavo, sapevo che sarebbe successo».
Perché? «Tra fine agosto e inizio settembre gli azeri hanno fatto avvicinare alla linea di contatto armamenti pesanti, soldati e droni di ultima generazione. Si tratta delle stesse manovre compiute nell’agosto del 2020, prima di lanciare la guerra di fine settembre.»
L’Azerbaigian si fermerà al Nagorno-Karabakh? «Il loro obiettivo è quello di invadere tutta l’Armenia, un pezzo alla volta. Dal 2020 a oggi hanno già rosicchiato molti chilometri quadrati di terra armena e stiamo parlando di un paese piccolo. Ecco perché ora bisogna pensare velocemente a come difendere l’Armenia.»
Perché pensa che gli azeri non si fermeranno? «Secondo lei perché è stato costituito un dipartimento all’interno del ministero degli Esteri azero che si chiama “Azerbaigian occidentale”? Perché continuano a parlare di Khanato di Erevan? Sono tutti segnali. Baku agisce inoltre in accordo con la Turchia, che vuole stabilire una connessione territoriale con le Repubblica ex sovietiche islamiche e portare a termine l’estinzione del mio popolo.»
Il Nagorno-Karabakh ha resistito ai tentativi di invasione dell’Azerbaigian con coraggio per oltre trent’anni. Perché questo territorio è così importante per gli armeni? «Perché storicamente è uno dei primi territori dove gli armeni si sono insediati. In quella terra ci sono le tracce della nostra storia millenaria con scavi che risalgono all’epoca romana. L’Armenia ha già perso tanto negli anni: il monte Ararat e la regione circostante, gli insediamenti in Anatolia orientale, che tutte le mappe prima del genocidio chiamavano Armenia.»
Stalin però decise di dare il Nagorno-Karabakh all’Azerbaigian. «Sì, ma anche durante il periodo sovietico la regione era un oblast autonomo, governata da armeni che emanavano le leggi in lingua armena. E prima che l’Unione Sovietica crollasse, come previsto dalla Costituzione e da una legge, il Nagorno-Karabakh chiese l’autonomia e fece un referendum. Per tutta risposta gli azeri massacrarono gli armeni e scatenarono una guerra. Gli armeni vinsero e forse quella vittoria li accecò, perché pensarono che non avrebbero più dovuto difendersi.»
In pochi giorni 13.350 persone sono scappate in Armenia dal Nagorno-Karabakh. Non ci si può fidare delle rassicurazioni offerte dall’Azerbaigian sul fatto che gli armeni potranno vivere in sicurezza e in pace? «No, non ci si può fidare. Il regime di Baku offrirà rassicurazioni, certo, ma il diavolo si nasconde nei dettagli. Magari garantiranno l’integrità fisica degli armeni, ma come li tratteranno? Come si comporteranno con i giovani coscritti, i ventenni che hanno combattuto contro il loro esercito se già adesso rapiscono le persone accusate di aver combattuto nella guerra degli anni Novanta? Ripristineranno poi elettricità e gas a tutti i villaggi armeni? Ci sono tanti modi per strangolare un popolo e quando l’attenzione mediatica e internazionale scemerà, gli daranno il colpo di grazia.»
Pensa che l’esercito azero voglia compiere una strage? «Io non credo, anche perché non gli conviene uccidere tutti. Certo ammazzeranno qualcuno, ma è più semplice rendere la vita impossibile agli armeni affinché se ne vadano. A quel punto, quando li avranno cacciati, potranno dearmenizzare il territorio: abbattere le chiese, distruggere i cimiteri, spaccare le croci di pietra e sostenere, come già fatto in passato, che il Nagorno-Karabakh non è mai stato armeno.»
Migliaia di persone sono scese in piazza a protestare a Erevan contro il premier Nikol Pashinyan, accusandolo di aver abbandonato l’Artsakh. Poteva o doveva fare di più?
«Forse la guerra era persa in partenza, ma Pashinyan a partire dal conflitto del 2020 si è mosso in modo insoddisfacente e non è riuscito a fare gli interessi né del Nagorno-Karabakh né dell’Armenia.»
Gli rimprovera di aver cercato troppo l’aiuto dell’Unione Europea? «Bisogna essere molto realisti: l’Armenia dipende dalla Russia e questo è un fatto. Pashinyan è chiaramente filo-occidentale, ma la domanda che bisogna porsi è: che cosa ci si guadagna a fare dei “dispetti” alla Russia, avvicinandosi a Bruxelles? Che cosa può offrire l’Ue in cambio? Come abbiamo visto, niente o quasi. Pashinyan ha addirittura riconosciuto la sovranità azera sull’Artsakh in cambio del riconoscimento da parte di Baku dell’integrità territoriale dell’Armenia. Ma, mi chiedo, come ci si può fidare di un paese che da tre anni rosicchia i territori sovrani dell’Armenia? I colloqui di mediazione con l’Azerbaigian sono una barzelletta: può l’agnello mediare con il lupo? Diamo alle cose il loro vero nome: siamo davanti a una resa.»
Oltre 60 membri del Parlamento europeo hanno chiesto alla Commissione di sanzionare il regime di Ilham Aliyev. È troppo tardi o ancora si può fare qualcosa?
«Non è troppo tardi, perché l’Armenia ha ancora bisogno di sostegno. C’è bisogno di aiuto per controllare la fuoriuscita in sicurezza degli armeni dall’Artsakh. Un conto, infatti, è essere cacciati dalla propria terra portandosi dietro i propri averi e ricordi di una vita, un altro è fuggire in Armenia senza niente. È evidente che l’Ue non farà mai per l’Armenia ciò che ha fatto per l’Ucraina, anche se la situazione è analoga e anche se l’Armenia è una democrazia molto superiore a quella ucraina. Se però Bruxelles sanzionasse Baku, sarebbe già qualcosa.»
Che cosa cambierebbe? «Innanzitutto i regimi temono la pubblicità negativa. Non è un caso che Aliyev abbia addirittura trovato un accordo con il Vaticano per aiutarlo a restaurare le Catacombe di Comodilla. E faccio notare con sofferenza che la Santa Sede non ha praticamente detto nulla su quanto avvenuto agli armeni. In secondo luogo, sanzionando il governo azero, l’Ue recupererebbe un po’ di dignità. Vi rendete conto di che cosa significa per l’Unione Europea che Ursula von der Leyen abbia firmato un accordo con l’Azerbaigian, ringraziando Aliyev a Baku? Ma dov’è la dignità di un presidente che rappresenta 480 milioni di persone?»
Che cosa ne sarà della scuola “Antonia Arslan” di Stepanakert? «Impossibile saperlo, mi viene da piangere solo a pensarci. Già negli ultimi mesi non tutti i 600 studenti hanno potuto frequentare perché dopo nove mesi di blocco del Corridoio di Lachin non c’era più benzina e chi abita nei villaggi non poteva raggiungere la scuola. Ho parlato l’altro giorno con la preside: stava scappando.»
Quali speranze nutre per il suo popolo? «Spero che i 120 mila armeni dell’Artsakh trovino una casa in Armenia e che l’Armenia riesca a difendersi: può farlo ma deve trovare una via d’uscita. Se perde ancora territori, senza fare niente, anche l’Armenia farà la fine del Nagorno-Karabakh.»
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