Cari amici buongiorno e buon inizio di settimana. Mi auguro di cuore che stiate bene in salute fisica, mentale e spirituale.
Da venerdì 18 agosto in Italia è legalmente vietata la parola «clandestino». Lo ha sentenziato la Corte di Cassazione, secondo cui «gli stranieri che fanno ingresso nel territorio dello Stato italiano perché corrono il rischio effettivo, in caso di rientro nel paese di origine, di subire un grave danno, non possono a nessun titolo considerarsi irregolari e non sono dunque “clandestini”». La Cassazione precisa che la parola «clandestino» rappresenta una «discriminazione indiretta determinata da ragioni di origine etnica», volta a «creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo».
Dal punto di vista etimologico «clandestino», è di origine latina, e sta per “clam” (nascosto) e “dies” (giorno), letteralmente «nascosto di giorno», implica l’idea della segretezza, dell’occulto, dell’ombra e dell’oscurità.
«Clandestino», nel diritto internazionale, connota lo status di una persona che entra illegalmente in uno Stato straniero, senza essere stato autorizzato, privo dei regolari documenti d’ingresso.
Il reato di clandestinità esiste in tutti gli Stati del mondo, sia in quelli “democratici”, come gli Stati Uniti, la Francia, la Germania e il Regno Unito, sia in quelli “autoritari”, come la Russia e la Cina. E, comprensibilmente, esiste anche in Italia.
Il reato di clandestinità è fondamentale per disciplinare l’ingresso degli stranieri e, soprattutto, per salvaguardare la sovranità dello Stato nazionale, imponendo il rispetto dei propri confini e sanzionando la violazione della propria sovranità.
Nella sentenza della Cassazione non si fa la distinzione tra due fasi distinte nell’azione dello straniero che entra illegalmente in Italia.
Nella prima fase, quando entra senza essere stato regolarmente autorizzato, commette il reato di clandestinità e, pertanto, è giuridicamente corretto qualificarlo come «clandestino».
Nella seconda fase, quando il clandestino presenta una congrua documentazione per richiedere il riconoscimento dello status di profugo o di rifugiato, la sentenza di espulsione viene sospesa fintantoché non si accerti la fondatezza della richiesta.
La novità introdotta dalla Cassazione consiste nel fatto che, dando per scontata la seconda fase, si annulla la prima fase. In sostanza, dando per scontato che il clandestino richiederà il riconoscimento dello status di profugo o rifugiato, non può a priori essere considerato clandestino. La conclusione è che è vietato l’uso della parola «clandestino» e chi la usa commette un reato. Si punisce chi denuncia non chi commette il reato.
Questa Italia è diventata simile al Mondo, all’epoca surreale ma oggi tragicamente reale, descritto da George Orwell nel suo preveggente romanzo 1984, dove vige la “neolingua” e si viene sanzionati, anche con la condanna a morte, se si usano parole non autorizzate dal “Grande Fratello”.
Magdi Cristiano Allam
Fondatore della Comunità “Casa della Civiltà”
Lunedì 21 agosto 2023
… se poi si dichiarano omosessuali hanno un salvacondotto in più…!
Sono in molti quelli a cui va bene così, che hanno letteralmente esultato a questa sentenza della cassazione.
Purtroppo è tutto così, tragicamente vero, si sanziona la parola per imporre la neolingua, il pensiero per imporre la censura preventiva del pensiero. Siamo alla psicopolizia per i psico reati da reprimere prima che avvengano.
Da una psico giustizia obbediente al Grande Fratello per creare il Mondo distopici del pensiero unico e della guerra permanente e pandemia costante, per il controllo assoluto dei servi e l’eliminazione dei dissidenti, di cui sarà cancellata ogni traccia, da ogni dove, condannandoli alla non esistenza, all’oblio.
Proprio un mondo al contrario, come giustamente ci dice il buon #Vannacci.
La Verità e la Ragione sono le grandi vittime, e ci va bene così??