Interroghiamoci su come sia stato possibile giungere ad una concezione di maternità,
come quella attuale, deltutto materialista, quasi consumistica, dissacrata e anaffettiva.
Come è stato possibile anche solo immaginare una realtà come l’utero in affitto.
Per rispondere a questo interrogativo, propongo di partire da una analisi filosofica.
Osserviamo brevemente l’evoluzione del pensiero umano che è passato dallo studio
della materia, a quello dello spirito.
Platone sosteneva che ogni realtà individuale fosse una copia imperfetta di un
modello universale e privo di materia, che egli chiamava “idea”. Platone pensava il
mondo delle idee come eterno e lo collocava in un mondo diverso da quello sensibile.
Invece, già Aristotele fondò una scienza che studiava l’essere in quanto essere. Egli
intendeva studiare l’insieme di tutte le cose che esistono (=l’essere), cercando di
stabilire gli aspetti comuni a tutte, affermando che “l’essere si dice in molti modi”,
ma la categoria a cui si possono ricondurre tutti i significati è quella di sostanza,
ovvero qualcosa di concreto e di individuale. Per Aristotele ogni sostanza individuale,
nel mondo sensibile, è composta di forma e di materia. Punto.
Come si vede, già dai primordi del pensiero filosofico, attraverso l’invenzione della
scienza, si è operata una netta separazione del corpo, dallo spirito. Per Aristotele era
meritevole di attenzione solo l’aspetto razionale, mentre quello emotivo restava in
secondo piano. L’ ”astrazione” scientifica, dunque, ha comportato una chiara
“distrazione” rispetto a tutto ciò che non è percebile nella sua materialità (sostanza).
Il pensiero scientifico di Galileo organizzava la conoscenza del mondo, attraverso la
matematica e la geometria. Quello degli affetti è stato per secoli un mondo ignoto.
La materia e lo spirito sono state realtà separate e ben distinte, per lungo tempo.
Soltanto molto tardi è stata messa in relazione la ragione, con il sentimento.
Non è un caso, infatti, che la psicologia scientifica moderna sia nata solo alla fine
dell’Ottocento.
A partire dal 1870 si cominciò ad occuparsi dello studio della psiche: le sensazioni, le
emozioni, le attività intellettive. Gli scienziati applicarono allo studio della mente le
metodologie che già applicavano alle scienze naturali, fondendo le scienze naturali
con lo studio della mente.
E’ stato proprio Sigmund Freud, il fondatore della psicoanalisi, che per primo ha
rivoluzionato la comprensione dell’amore, del desiderio e della psiche umana.
Freud iniziò le sue prime ispezioni scientifiche, in questo campo, con lo studio delle
“isteriche”.
Molto interessante è l’analisi etimologica del termine isterico. Dal greco ὑστερικός,
deriva da ὑστέρα «utero». Come si vede il termine etimologicamente è connesso con
l’utero. Ovvero con la donna. Una persona è definita isterica se ha umore stravagante,
irritabile, facile agli scatti nervosi e a reazioni incontrollate, come si diceva delle
donne, soggette a ciclici sbalzi ormonali ed umorali.
Come si vede, i primissimi studi sulla mente umana partono inevitabilmente dalla
osservazione del mondo femminile e dalla maternità in particolare.
Secondo Freud la causa dell’isteria non aveva una origine fisiologica, ma dipendeva
da ricordi traumatici, in particolare episodi di violenza sessuale, nella vita del
paziente. I ricordi traumatici che danno origine all’isteria sono preclusi alla
coscienza, in quanto troppo dolorosi. La possibilità, attraverso l’ipnosi, di mettere un
paziente nella condizione di rievocare tali ricordi, e di rivivere le emozioni ad essi
legate, permise la guarigione dell’isterico e la scomparsa dei sintomi.
In medicina e psichiatria, l’isterismo è oggi definito come una forma di nevrosi,
caratterizzata da vari disturbi psichici e da sintomi sensoriali e motori (stati
depressivi, fobici, nevrosi), ormai comunemente ritenuti manifestazioni somatiche
che esprimono, in maniera simbolica, i conflitti psichici inconsci.
Con la nascita della psicologia, dunque, è totalmente cambiato il punto di vista, fino
ad allora dominato dal materialismo scientifico. Noi siamo parte del mondo e non
dominatori del mondo. E ciò lo si comprende bene attraverso l’osservazione
scientifica e filosofica della maternità.
La psicologia del dopoguerra consentì lo studio, in larga scala, del comportamento
degli “orfani di guerra”, ovvero degli effetti della deprivazione materna, nei primi
anni di vita. Si osservava, cioè, che tutti i neonati rimasti orfani, nonostante il
massimo accudimento materiale che veniva garantito dagli orfanotrofi, morivano e
pochissimi arrivavano alla adolescenza. Solo nel 1942/43 si comprese la necessità
dell’accudimento amoroso e così si attestò che gli orfanelli, sottoposti a relazioni di
cura affettiva, non si ammalavano più. Si scoprì, cioè, la importanza vitale della
relazione affettiva con la madre. Abbiamo così compreso che noi siamo esseri
relazionali, cioè intimamente bisognosi di relazioni di cura. Tutti, nessuno escluso.
Ciò è emerso, fuori di ogni dubbio, dallo studio scientifico della vita umana in utero.
La vita in utero è una vita paradisiaca. Lì coesistono tutte le condizioni di benessere e
di sicurezza di cui l’essere umano ha bisogno. Anche il cervello della donna si
modifica grandemente durante la gravidanza. La relazione profonda che si crea fra la
madre ed il feto è straordinaria ed intensa. Il bambino ha bisogno della sicurezza di
nascere dalla creatura da cui proviene, con la quale si sente tutt’uno. Si tratta del
bisogno della presenza relazionale con la madre. L’uomo nasce immaturo perché ha
bisogno di restare 1000 giorni a contatto diretto con la madre, prima di distaccarsene
veramente. Questa immaturità alla nascita non la si osserva in nessun altro essere
animale. Anche la madre non è naturalmente disposta a distaccarsi dal proprio figlio.
Per questo, alcuni studiosi spiegano il motivo del dolore del parto. Secondo tale
interpretazione, la natura “non si fida della donna” e rende il parto non un atto
volontario della madre, ma un atto del bambino. Il dolore del parto assume, allora, un
significato filosofico, ovvero il dolore della madre di distaccarsi dalla sua creatura, il
dolore di “lasciare” il bambino e di rinunciare alla sua onnipotenza (Dott. Giuliana
Mieli “Le basi biologiche degli affetti”). Questa lettura del parto è affascinante. Ma
c’è un’altra lettura di un fenomeno scientifico, che ugualmente ci aiuta ad interpretare
il comportamento umano. Mi riferisco alla scoperta della ossitocina.
L’ossitocina è un ormone, che agisce come neurotrasmettitore ed è prodotta
dall’ipotalamo, immagazzinata e secreta nel flusso sanguigno.
Le sue funzioni principali sono quelle di spingere le contrazioni
dell’utero, durante travaglio, di stimolare il latte materno e di promuovere, così, il
comportamento materno (accudimento e allattamento).
In entrambi i sessi, l’ossitocina, a livello neurologico, favorisce l’attaccamento
relazionale, la sua produzione viene stimolata dai contatti fisici affettuosi o anche
solo dalla vista di persone amate o di bambini piccoli o persino di cuccioli di animali.
A seguito di esperimenti sugli animali (Panskepp, 1998) si è visto che iniezioni di
ossitocina nel cervello dei topi femmine creavano un comportamento materno in
femmine non gravide e che, al contrario, gli inibitori di ossitocina portavano a
dimenticarsi dei piccoli, se si allontanavano. Ugualmente, nei maschi, bassi livelli di
ossitocina provocano amnesia sociale e chi è privo del gene codificante presenta
aggressività, indifferenza al distacco dalla madre e assenza di attaccamento sociale.
L’ossitocina stimola l’interazione sociale, i legami e la fiducia nelle persone, quasi
ogni interazione sociale positiva fa sì che il cervello produca ossitocina.
L’ossitocina è l’ormone che ha garatito la prosecuzione della specie.
E allora, abbiamo infine capito che la ragione non è sovrana, ma è serva
dell’emozione.
Aristotele chiamava ‘accidenti’ tutto ciò che esiste, ma non è sostanza.
Nel materialismo scientifico contemporaneo della maternità, per esempio sostanziata
dalla pratica dell’utero in affitto, questo fortissimo attaccamento relazionale appena
descritto, della madre con il bambino e del bambino con la madre, per dirla con
Aristotele, costituisce un accidente…
Forse è bene non rinunciare a credere nel platonico mondo delle idee.
Le idee che sono la forza della nostra vita e senz’altro il motivo della nostra salvezza.
Signa, 08.06.2023 Stefania Celenza
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