Cosa ti manca di più in questi mesi da cittadino, da giornalista e da “pensatore”? La verità. Sì, la verità, questa importuna signorina che sembra troppo antica, troppo perentoria, troppo assoluta per sposarsi e adattarsi al microclima dei nostri giorni, anzi al clima micragnoso e velenoso del presente. La vedo fuggire indignata e ferita dal circo mediatico-politico, rattrappirsi nelle bocche dei politicanti di Palazzo, spegnersi nelle menti degli intellettuali e pervertirsi sulle colonne infami dei giornali. Lo dico per esperienza quotidiana ripensando a troppi fatti recenti, tra pandemia, guerra e crisi economica, energetica e ambientale e che ritrovo esattamente rovesciati nella rappresentazione che ne hanno dato testimoni, attori e narratori. La realtà è una cosa, la rappresentazione dei media è un’altra. La storia è una cosa, la ricostruzione è un’altra. A nulla vale tentare di restituire la verità delle cose, resta solo quel che è sostenuto con mezzi più forti. L’ideologia vince sulla realtà, la ragion politica sulla verità. L’organizzazione sistematica della non-verità, fino al capovolgimento dei fatti e delle responsabilità vince sulla verità: la fiction si insinua anche nella vita e nella comunicazione e risponde a scopi propagandistici, manipolazioni dei fatti. Il falso vale più del vero, anche perché è più duttile e dunque si adatta a chi lo indossa. Chi detiene l’egemonia ideologica dell’informazione ti può far passare per vittima o per censore, per eroe o asservito, indipendentemente dalla verità dei fatti. Se la verità non coincide con i loro interessi ideologici o materiali, tanto peggio per la verità.
Troppo spesso allontanata dai Palazzi, compresi quelli di giustizia, la verità non viene risarcita nelle piazze, nelle case e nei luoghi pubblici e privati della vita odierna; ma anche qui svanisce perché prevale nella quotidianità corrente la simulazione e la dissimulazione, l’apparenza e il travestimento, l’ipocrisia e lo sdoppiamento. Anche il senso comune alla lunga cede alle convenienze. Anzi non c’è un mondo comune, ognuno vede le cose dal suo punto di vista e di utilità. Soggettivismo puro e relativismo. Chi pensa che la fine della verità oggettiva e comune sia l’inizio della libertà e la garanzia della democrazia, rovescia la realtà: senza una verità condivisa e fondata sulla realtà, vince la verità del più forte, fino a che è più forte. Altro che libertà e diritti umani.
E’ il problema più urgente dei nostri anni: la perdita della verità. E la sua subordinazione ad altro: alla volontà di dominio, alla necessità del Fatturato, al primato del Piacere o, più modestamente, della Comodità, alla vittoria del Partito, dell’Apparato o dell’Azienda, comunque del Potere. Non riusciremo più a dialogare se continueremo a disattendere la verità; smetteremo di vivere con gli altri, di condividere sorte e lavoro, vita, amore e morte, se continueremo questa demolizione della verità a scopo d’utile individuale o di parte. E’ stata costruita negli anni la giustificazione scientifica per la perdita della verità: da tempo ormai ci insegnano sin dalle scuole che la verità non esiste; esiste l’interpretazione, l’opinione, il punto di vista. Non c’è una verità che valga per tutti e per sempre, la mia verità diverge dalla tua e muta col mutare del tempo; così relativizzata, la verità viene ridotta ad uso singolo e temporaneo, e quindi sottomessa prima allo sguardo e poi alla volontà del soggetto. Sembra ormai una verità acquisita e indiscutibile che non ci sia una verità oggettiva; ma non è così, credetemi. C’è una sfera di cose incerte e opinabili ma c’è anche una sfera di cose chiare ed evidenti, senza le quali non riusciremmo a vivere e a comunicare; e nel mezzo c’è una processione infinita di realtà che si avvicinano alla verità, che si incamminano verso di lei. Per vivere, per dialogare, per avere un rapporto con gli altri e per stare al mondo, non possiamo partire che dalle cose certe e vere: la certezza di essere uomini e mortali, in primo luogo, e poi la certezza della nostra identità come ce la disdegna il corpo, l’origine, la provenienza, il luogo in cui siamo nati, le persone da cui proveniamo, il mondo. La certezza dell’esperienza passata, la certezza di aver pronunciato certe parole, di aver assunto certi impegni, di aver compiuto certe scelte: il nostro passato presenterà pure zone d’incertezza dovute alla labilità della memoria, agli inganni delle apparenze e alla opinabilità di alcune cose, ma è anche un luogo di verità e di realtà realmente accadute che non possiamo revocare o relativizzare. Certo è il richiamo della natura, la comune certezza di vedere le cose che vediamo, di sentire le cose che sentiamo. Certo è il presente. I sensi, gli affetti, i bisogni mostrano esperienze reali. Anche quando ci neghiamo alle verità della vita, ne siamo dentro, fino in fondo. Nascere, invecchiare, morire, creare, distruggere non sono illusioni o punti di vista.
Prima della libertà e della giustizia, prima del pluralismo e dei diritti, c’è il riconoscimento della verità. Non è vero che la verità uccida la libertà. I dispotismi del passato non nascevano nel nome della verità ma dall’arroganza soggettiva di chi pretendeva di identificarsi nella verità e decidere in suo nome sugli altri: nessuno incarna la verità, tutti siamo in varia misura dentro la verità, ma nessun essere umano è la verità. I dispotismi e i terrorismi non nascono nemmeno dalla pretesa di rappresentare la verità, ma al contrario dalla distorsione della verità e dalla sua sottomissione ad un Assoluto: il Partito, il Potere, l’Assoluto, la Classe, la Razza, il Paradiso in terra. In nome di una supremazia, la verità viene modificata e cancellata.
La verità attiene alla conoscenza e non alla potenza, è una ricerca e non un monopolio, è un fine e non è un mezzo, e dunque non può essere usata per colpire, ma per sapere. Oggi, dicevamo, viviamo tra pensiero debole e poteri forti: la verità è il suo contrario, un pensiero forte in un corpo fragile.
Abbiamo bisogno di verità