Sento il profumo
Di quando la vigilia
Era ancora una festa del casale
Il sapore del vino e del pane caldo
Appena sfornato
Gli odori intensi del maiale
Nella pentola
Dei vizi
Divorati dallo spirito lieve
Della devozione
Il ribollire ostinato delle lenticchie
Il sapore aspro del pesce serpente
Sono rimasto solo
A cercare un ceppo di quercia
E la cenere ricca di virtù
Per la notte più lunga
Come un ragazzo di cascina
Radici di cose che non sono più
Qui
La conca di rame e l’acqua
Purificatrice
Scomparsa insieme ai
Giochi dei Saturnali
Con le nuove sorti dell’uomo
Rivedo
Il rito dell’arrivo della corriera
La gente curiosa alla finestra
L’aia deserta e lucida di ghiaccio
La legna accatastata e coperta
Nel solstizio impietoso
Schiamazzi di bambini
Gelsi allineati al cancello
Inondato di glicine verso la
Campagna
Sulla riva del fosso
Rose arrampicate dietro il cortile
A tingere di rosso il muro
Scrostato
Il lontano ruminìo dalla stalla
Come un lamento
E lo sbuffare del cavallo
Di ritorno dall’ultimo lavoro D’autunno
Qualche brandello di luna
E la tavola imbandita
Tutti intorno al camino
Come fosse
Suonata la sveglia
Ricordo ancora la preghiera
“Te Deum laudámus:
Te Dóminum confitémur.
Te ætérnum Patrem, omnis terra venerátur…….
Sanctus, Sanctus, Sanctus “
E gli occhi di tutti
Anche dei bambini
Rivolti al cielo
Riconoscenti
.
.
Foto di copertina: “Il ceppo di Natale” dal web
Questa rubrica “Sciaveri di tregua” desidera istituzionalizzare la registrazione costante dei pochi ma intensi momenti di riflessione che mi vengono suggeriti in tempo reale in parte dall’osservazione e dalla traduzione poetica di immagini particolari con cui la realtà si manifesta e in parte dalla immancabile dose di esperienza specifica che l’età matura può aggiungere a questa attenta osservazione.
È abbastanza incredibile quanto sia in questo contesto assai prezioso, soprattutto dal punto di vista spirituale, l’affinamento che a questa osservazione si affianca nell’intento di popolare di piccole ma vitali suggestioni le esigue pause spirituali che, con forzata parsimonia, la realtà odierna nella sua corsa ci riserva.
Ho riscoperto il prezioso quanto dimenticato lemma “sciàveri ” per dare un nome a questi momenti, a queste osservazioni e a questi intensi ritagli di esistenza , definendo il termine “tregua” , dal sapore combattivo e guerresco, proprio per stigmatizzare la sconcertante sofferenza del corpo e dello spirito in questa quotidiana “tenzone” che tutti dobbiamo affrontare nel contesto della convivenza sociale e nel caos di questa corsa ad ostacoli , densa di episodi di “fatica” in un mondo in cui la realtà presenta fenomeni di effettive sfide temporali e fisiche oltre a un continuo sopravvenire di istanze etiche e spirituali, materia di problematiche irrisolte, nonché di dubbi esistenziali di non poco conto.
“Sciàveri di tregua” è quindi nato con l’ambizione di rappresentare un convinto, coerente e sentito invito a una sosta ferace dello spirito, intesa a lasciare a ciascuno la possibilità di riflettere intorno ai valori propri e intimi dell’esistenza , fatto non sempre concesso dalla realtà “accelerata” e nello stesso tempo “aumentata” dei nostri giorni.
Attraverso pensieri tradotti in sequenze armoniche di parole , qualche volta attraverso ritmi melodici ed onomatopeici in cui si mescolano elementi naturali primordiali e sottili rumori di sentimenti umani , ho cercato di incontrare opere di amici noti o sconosciuti e di invocare il loro aiuto, la loro complicità , per indugiare su qualche immagine di questa turbinosa avventura del vivere gli anni del terzo millennio, in una gara senza pause, senza respiro e “apparentemente” senza alcun segno di pietà per chi rimane relegato a una vana attesa sul ciglio spesso tristemente disadorno e inospitale della strada.
Da artigiano della parola ho scambiato impressioni con solerti artigiani del suono, dei colori e dell’immagine (pittori, scultori , musicisti e fotografi) per scoprire quegli stimoli creativi condivisi che facilitano una risposta corale a una serie di interrogativi comuni alle varie “discipline artistiche”, cioè comuni all’interpretazione della realtà”.
Qualche volta ci siamo insieme domandati dove si voglia arrivare attraverso questa amabile scorciatoia con cui si tende a volere a tutti i costi eliminare le tregue, accelerare la corsa, bruciare tutte le tappe, comprese quelle più solenni e rituali come gli archetipi più sacri e celebrati dalla tradizione della vita e della morte. Qualche altra ci siamo soffermati sui valori tradizionali della nostra esistenza con attenzione e scrupolosa smania di descrivere i colori della realtà com’è o come vorremmo che venisse percepita attraverso il filtro della nostra mediazione spirituale, artistica ed umana.
Mi lusingano i tuoi commenti e mi onora lo spirito con cui interpreti le mie riflessioni, caro Gianni. Molti pervenuti nel mondo di Calliope pensano che l’intimismo della poesia significhi non far capire bene quello che uno scrittore vorrebbe comunicare al mondo intorno a lui. Per cui talvolta sono necessari studi critici veri e propri per questo spesso gravoso compito. Io apprezzo tutte le volte che qualche lettore mi comunica di apprezzare questo mio sforzo di voler comunicare riflessioni magari modeste nel contenuto ma chiare nel livello di comunicazione e nel senso del messaggio stesso.
Grazie ancora Gianni, un dono che nella vicinanza di queste ricorrenze spirituali suona molto appropriato e convincente. E’ come un alto riconoscimento che quelle poche parole abbiano potuto suscitare un pensiero, un commento o una emozione. E una vivisezione del sentimento a mo’ di intervista sarebbe un evento educativo da consigliare a Magdi anche se difficilmente potrebbe raggiungere la perfezione di cui l’anatomia ci da un illuminato esempio. Da contrapporre ai pollai mediatiici di cui le stesse galline si vergognerebbero, un viaggio nello spirito che potrebbe anche servire a qualcuno. Io ti candiderei alla prima conversazione…
Buonanotte
Grande poesia, questa di Giorgio. Caldi molteplici ricordi che illustrano un mondo antico ma che è ancora presente negli sviluppi di oggi seppur sconosciuto ai giovani. Odori e sapori oltre che luoghi che ritornano vivi a segnare una epoca ed un momento dell’anno ancora presente perché ricreato ora, in ogni sentimento, voglia di genuinità, semplicità. Bisogno di valori umani semplici, ma assoluti, che danno vita e senso alle cose, come la Fede, il vivere al ritmo eterno ed indispensabile, dove tutto serve e nulla si spreca, perché tutto è dono di Dio e gloria dell’Uomo.
È bello ed importante che ancora qualcuno ricordi tutto ciò e lo espliciti. Ed il Poeta lo fa con le armi del sogno, dei ricordi costruttivi, dello scoprire e vivificare radici che credevamo sepolte, nell’oblio della frenesia distruttrice dell’oggi.
Vorrei tanto poter parlare col Poeta, come un anatomo chirurgo, chiedergli per ogni frase il nome delle cose, il nome della rosa.
Grazie, Giorgio.