Carissima, con il dovuto rispetto per le “tue battaglie”, invero nobilissime e largamente condivise, mi permetto, nei limiti dell’amicizia che ci lega da decenni (e non preciso il numero), di fare alcune osservazioni che, probabilmente, ti indurranno a ribadire i tuoi convincimenti. E non mi dispiacerà, nota bene. Quando gli amici ci danno sempre e solo ragione, la cosa ci conforta ma non ci aiuta, se ci pensi bene.
Diciamo che ti offro su due piani diversi, due spunti fra il serio (il primo) e il faceto (il secondo). Detto questo, e confermate le ragioni del tuo dire, mi chiedo, per primo quanto segue.
Nel cielo nuvoloso di questo autunno carico d’incognite, si aggira un lontano e cupo brontolio di rappresaglia nucleare. Anzi due, da est e da ovest, e non sto a fare la storia del perché e “per come” che ci porterebbe fuori strada.
E lo stesso cielo bigio ci alita addosso il sinistro presagio di un inverno al freddo, perché la crisi energetica ci toglie in prospettiva pure l’estrema risorsa di attaccarci alla canna del gas. Non continuo con l’elenco delle iatture in agguato, dietro l’angolo, ad ogni livello politico e geopolitico mondiale.
A fronte di ciò, per quanto fondata, la questione relativa all’articolo determinativo da anteporre al titolo di Presidente, forse, (sottolineo forse), potrebbe (dico potrebbe) non essere una assoluta priorità vitale, visti i tempi che corrono. Ma, per carità, potrei, anzi posso sbagliarmi.
Secondo punto o spunto. Al giorno d’oggi ciascuno può, almeno di fatto se non del tutto di diritto, riconoscersi altro e diverso dal sesso biologico di cui è portatore. Ciascuno può riconoscersi femmina o maschio, o entrambi, del tutto o in parte, e attivo/a o passivo/a ,transitivo/a, intransitivo/a o semideponente. Per sempre o a periodi alterni. Ma c’è forse qualcuno cui vogliamo negare pure il diritto minimo di scegliersi almeno l’articolo che preferisce? Con l’affetto e l’amicizia di sempre. (V.Z.)
Dico di più. Non solo sottoscrivo totalmente le riflessioni dell’amico Vittorio, ma aggiungo che trovo personalmente disdicevole, ipocrita e pretestuosa questa tendenza a femminilizzare forzatamente nomi e sostantivi da sempre coniugati al maschile. Perchè mai? Cosa toglie ad una donna definirsi con una professione al maschile? Forse le sottrae il merito, la capacità e la bravura di avere avuto accesso a quella professione o a quel ruolo? Questi sono tutti stereotipi vuoti di significato, ma utili per lusingare le menti deboli. Io trovo anzi lusinghiero e quasi motivo di orgoglio farmi chiamare Avvocato, così come mi piace molto chiamare una mia cara amica Architetto, oppure Sindaco, oppure Ministro. La lingua Italiana ha la sua dignità e la sua musicalità. “Ministra” è una parola cacofonica, che non si può tollerare.
Mah. Ho dovuto leggermi tutto l’articolo per arrivare al sunto nelle ultime quattro righe.
Concordo con la Meloni considerando che, dopo il titolo di “presidente” si nomina normalmente l’inequivocabile nome; che i problemi sono ben altri; che ci penseranno i giornalisti a nominarla come meglio credono.