quotidianosanita.it, 2 settembre –
Gentile direttore,
sono medico di medicina generale nella mia Ravenna dal 1982. I ricordi degli inizi della professione sembrano veramente racconti d’altri tempi: 9 pezzi per ricetta, prescrivibilità a carico del SSN di amari, soluzioni e citrati! La disponibilità (non reperibilità) del medico di medicina generale era dalle 8 alle10; ho sempre ritenuto che fosse del tutto insufficiente a garantire il necessario contatto con il paziente e ho risposto al telefono anche oltre l’orario indicato dalla Convenzione.
Ora alle soglie della pensione vivo una situazione completamente stravolta per due ordini di motivi.
Prima di tutto l’arrivo direi tumultuoso delle tecnologie informatiche anche nella medicina generale; grande è il dibattito sul loro utilizzo nell’integrare il rapporto diretto tra medico e paziente (purtroppo con alcune esperienze, che personalmente ritengo del tutto negative, di sostituzione di tale rapporto). Molte sono le considerazioni che la professione sta ancora svolgendo dal punto di vista assistenziale, deontologico e circa i profili di responsabilità professionale.
Il secondo motivo è l’aver dovuto attraversare quello che penso quasi tutti noi ricorderemo come il periodo più buio della nostra esistenza: la pandemia. È stato necessario aumentare ancora di più il contatto in remoto con i pazienti da monitorare e da assistere con indicazioni terapeutiche a domicilio e anche, in diversi casi, da sostenere durante il ricovero in situazioni cliniche molte volte gravi se non drammatiche. In tutte queste situazioni si è veramente affermato quello che è il ruolo del medico di famiglia, di fiducia, il professionista che è veramente il punto di riferimento della persona in tanti casi dalla seconda infanzia alla vecchiaia; patrimonio della nostra comunità che spero nessuno voglia mettere in discussione.
Il problema però è che ora questo professionista e il suo rapporto di fiducia rischiano di essere travolti da questa tempesta informatica.
Messaggi per whatsapp, mail che arrivano (nel mio caso a due indirizzi mail quello ASL e quello personale) a qualunque ora del giorno e della notte, il telefono in studio che non cessa di squillare rischiano di far perdere lucidità e serenità al medico e di frapporsi in maniera estremamente negativa tra il professionista e il paziente; con profili di responsabilità che possono rivelarsi significativi.
Capisco che sta all’organizzazione di ogni professionista e del personale di segreteria dello studio associato (due condizioni ormai ineludibili in medicina generale) saper gestire tale massa di contatti, anche se c’è chi, per esperienza o per capacità personale, è in grado di farlo e chi invece incontra delle difficoltà.
Ritengo quindi che la Convezione e gli accordi locali debbano prendere in esame tali problematiche e definirne le soluzioni per quantità e qualità ottenendo per il medico di medicina generale la chiarezza necessaria sotto il profilo della responsabilità professionale, lasciando ovviamente alla autonoma organizzazione dell’attività del medico anche attraverso i suoi collaboratori la pratica attuazione di quanto concordato.
(Stefano Falcinelli è Presidente OMCeO Ravenna e Consigliere d’Amministrazione ENPAM)
https://www.quotidianosanita.it/m/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=106929
Andreina tutto sommato ha ragione.
Questo anziano medico di famiglia, esprime un comprensibile disagio, nella prima parte del suo scritto, riguardo la perdita del contatto umano coi pazienti, quando i contatti erano attraverso il telefono o diretti in ambulatorio o a casa del malato. Tutto a favore della decantata transizione digitale, dell’informatizzazione anche dei contatti, della telemedicina che estrania la cura al letto del malato.
La pseudopandemia ha accelerato questa agenda di transumanizzazione.
Capisco il collega travolto dalla tempesta informatica, ma visto che siamo stati relegati per anni a veicoli infettivi da tenere a distanza o a cui rispondere con tachipirina e vigile attesa, per fortuna non da tutti, mi sembra che la geremiade sbagli bersaglio e riduca il disagio a rottura di scatole digitale che assolva i medici senza riconoscere le cause vere e profonde della disaffezione dei pazienti e di perdita di credibilità dei medici.
Attribuire alla pletora di contatti dei pazienti un rilievo che può influire anche su responsabilità professionali, é come chiedere un altro scudo penale come per i medici vaccinatori.
Io ho un medico tra non molto in pensione. È da solo, non ha segretarie.
Non ha mail, né WhatsApp, né altro, solo il telefono. Se accedi allo studio, di solito aspetti ore il tuo turno. Se telefoni per appuntamento per visita o ricette, minimo devi stare di media 45 minuti perché risponda. Appena ti risponde dice ‘aspetta’ e magari attendi altri 15 minuti, poi in 5 minuti manda la ricetta in farmacia. Trovarlo poi durante la pandemia era un terno al lotto, così le ricette me le facevo da me, perché posso ovviamente, che poi a lui non dispiace. Questo per dire che oggi la comunicazione informatica e telefonica in vari modi è comoda e importante per i pazienti, per essere presenti ed assisterli anche psicologicamente, cosa che già di per sé è parte primaria della cura. Certo non si può essere sempre ed ovunque, a tutte le ore, disponibili, ma i mezzi consentono di rispondere a tutti, magari con calma, e dedicarsi a chi ha più bisogno, e qui linee guida e burocrazia ministeriale o D. p. R. devono cedere al rapporto esclusivo ed in Scienza e Coscienza coi nostri pazienti e con le cure, unico oggetto di una professione bella ed appagante spesso, anche se non senza ombre, ma fatta come sappiamo da sempre di dedizione e sacrificio.
Una volta si diceva che fare il prete ed il medico era una missione, come il sindaco, in un paese, dove erano le tre Autorità legali, spirituali e sanitarie.
E così dovrebbe essere, se non fosse entrato ovunque il dio denaro.
Confesso che quando ho letto che “il rapporto di fiducia tra medici di famiglia ed i suoi assistiti rischia di venire travolto da questa tempesta informatica” mi sono chiesta dove vive questo medico: su Marte probabilmente. Mi chiedo come possa onestamente pensare che sia questa la motivazione e non quanto accaduto negli ultimi due anni e mezzo, grazie soprattutto all’atteggiamento servile della sua categoria, che ha spesso dimenticato di aver giurato di curare le persone e di non compiere nulla che le possa danneggiare.
Mi chiedo come questo “professionista” non abbia capito che la tempesta informatica sia al massimo l’ultimo dei problemi, essendo preceduto da un vero dramma, costituito da una sanità allo sfascio, e da una pervicace azione demolitoria della sanità pubblica a favore di una privata.
Mi chiedo come non comprenda che presto chi non potrà permetterselo non avrà cure.
Quando leggo questi cose mi rendo conto che il lavoro di ricostruzione che ci prefiggiamo di portare avanti è infinitamente più complicato di quanto avevo immaginato.
Cionondimeno è proprio per questo che ritengo indispensabile incrementare ancora l’impegno per cambiare davvero questo nostro paese.
Andreina Trapletti