Si è soliti dividere la musica in generi: classica, lirica, contemporanea, da film, sperimentale, musical, pop, rock, jazz, tanto per citarne qualcuno, ma, secondo il mio modesto punto di vista, in realtà esistono sostanzialmente due tipi di musica, vale a dire quella buona e quella cattiva.
Purtroppo nella società attuale, i pregiudizi (ed i luoghi comuni) abbondano in tutto, anche in campo artistico, per cui si è portati a credere che la musica “colta” o “classica” sia necessariamente l’unico genere che abbia la prerogativa di esprimere la bellezza in senso assoluto, ma io non ho alcuna esitazione a definire certe canzoni dei Beatles, dei Genesis o dei Pink Floyd, dei veri e propri “classici” da inserire a pieno titolo nella stessa categoria a cui appartengono i capolavori dei grandi compositori del passato, perché si tratta di buona musica, che fa vibrare le corde di tutti, indistintamente.
Francamente non amo l’intellettualismo schizzinoso e lo snobismo di qualcuno che, a prescindere, nega dignità a musiche che di diritto ormai sono entrate a far parte del nostro patrimonio musicale universale, e, se mi chiedeste quali sono le cinque opere che amo di più, vi risponderei, pur con l’imbarazzo di chi sa che è costretto a non citarne tante altre ugualmente meritevoli: il “Don Giovanni” ed il “Flauto Magico” di Mozart, il “Don Carlos” di Verdi, la “Tosca” di Puccini, “Jesus Christ Superstar” di Lloyd Webber.
So benissimo di prestarmi a critiche, perché mi rendo conto anch’io che mancano tante altre opere di tanti altri autori, e so anche che “Jesus Christ Superstar”, per alcuni esegeti, appartiene al genere meno “colto” del musical.
In realtà, però, “Jesus Christ Superstar” è un’opera a tutti gli effetti, come del resto anche l’autore del libretto, Tim Rice, ha più volte ribadito, ed è stata costruita secondo una mirabile e sapiente concezione moderna, con un testo carico di significati universali e con una musica scritta con una profondità e con una maestria che non hanno niente da invidiare a quella dei grandi maestri del passato.
Come è nata questa opera? Ce lo racconta lo stesso Tim Rice: “La gente pensa che l’opera Jesus Christ Superstar sia il frutto di un lampo di genio, ma in realtà non fu così: tutto avvenne veramente per caso. Già fin quando avevo 15 anni, ed ero in un collegio religioso, in Inghilterra, ero attratto dalla figura di Giuda Iscariota, colui che tradì Gesù, e lo giudicavo un tipo alquanto sfortunato, perché si era ritrovato in quella situazione particolare. L’idea di narrare la storia di Gesù attraverso il punto di vista di Giuda, mi aveva sempre affascinato, ancora prima di conoscere Andrew Lloyd Webber, il compositore che poi avrebbe musicato il mio testo e che conobbi nel 1965, quando io avevo 19 anni e lui 17. A quei tempi il mio sogno era di diventare un cantante pop ed andavo in giro con un nastro per fare ascoltare le mie canzoni che avevo in inciso in un piccolo studio per 5 sterline. Un gruppo registrò uno dei miei pezzi, ed io ero fiero di vedere un disco con qualcosa che io avevo scritto, anche se non ebbi assolutamente successo. Mi sentivo comunque importante e credevo di essere un autore di canzoni. Incontrai un agente di artisti, un certo Desmond Elliot, e tentai di vendergli un’idea per un libro, ma non lo convinsi: mi disse però che seguiva un tizio di nome Andrew Lloyd Webber ed io pensai che questo, con un nome così, non sarebbe andato da nessuna parte, ma, quando me lo fece conoscere, capii subito che avevo davanti una persona speciale e che quasi sicuramente avrebbe avuto successo. L’entusiasmo di Andrew per il teatro e la mia ossessione per il rock credo siano stati decisivi a far funzionare tutto così bene: nessuno aveva portato il rock a teatro, e noi lo facemmo, un po’ per caso, lo ammetto, ma andò bene, perché avevamo fatto qualcosa di diverso, che poi è la regola d’oro del successo. Devi essere bravo, ma anche originale.”
Nel 1968 e 1969, Tim Rice ed Andrew Lloyd Webber cercavano soggetti a sfondo religioso ed erano orientati su figure come re Davide, ma quando il librettista propose di trattare il tema di Giuda, l’idea sedusse anche il compositore; così nacque l’opera, che parlava dell’ultima settimana di vita di Gesù, dalla sua entrata a Gerusalemme, la domenica delle Palme, fino alla crocifissione.
Ultimata buona parte dei brani, Tim and Andrew cominciarono a pensare di vendere il lavoro come uno spettacolo per il teatro attraverso il loro agente, ma incontrarono delle forti resistenze da parte di chi sosteneva che non fosse opportuno proporre un musical basato su temi religiosi che avrebbero potuto dare luogo a polemiche dannose e controproducenti.
I primi che invece capirono che si trattava di qualcosa di interessante, furono i dirigenti della casa discografica MCA Records, in particolare Brian Brolly: allora Tim Rice e Andrew Lloyd Webber, frustrati per non poter realizzare il sogno di mettere in scena la loro opera, accettarono di ripiegare sulla produzione di un disco, con la speranza che, se avessero avuto successo, sarebbe poi stato possibile produrre uno spettacolo per il teatro.
Brian Brolly concesse loro di fare uscire un singolo: si doveva quindi puntare su una sola canzone, “Superstar”, e solo se il disco avesse avuto fortuna, si sarebbe potuto pensare ad un album.
Siccome i teatri continuavano a rifiutare lo spettacolo, l’unica prospettiva era la soluzione discografica; l’opera non era ancora stata scritta interamente, così i due amici furono costretti a cambiare il carattere dell’intero progetto, adattandolo ad una versione pensata per un album.
Questo fatto si rivelerà una vera fortuna, come ammetterà in seguito lo stesso Tim Rice: “Se un direttore artistico avesse allora accettato di rappresentare il lavoro in qualche cittadina di provincia, così come era stato concepito originalmente, probabilmente l’opera non avrebbe avuto questo successo.”
Per il titolo della prima canzone, usarono la parola Superstar unendola al nome Gesù Cristo in modo solo in apparenza irreverente, poiché, così facendo, avvicinarono la figura del Salvatore ai giovani, rendendolo quasi una rockstar. Fu chiaro a tutti che Jesus Christ Superstar avrebbe dovuto essere il titolo dell’album doppio, che, dopo la positiva accoglienza del disco singolo, ci si apprestava a pubblicare nel 1970.
L’opera fu eseguita il 15 maggio 1971, come prima assoluta, in forma di concerto a Kansas City (Missouri) e nel luglio 1971 al Civic Arena di Pittsburgh, con Carl Anderson nel ruolo di Giuda, davanti ad un pubblico di 13.000 persone. Finalmente il 12 ottobre 1971 iniziarono a Broadway le rappresentazioni vere e proprie di “Jesus Christ Superstar” ed in 18 mesi si conteranno ben 720 recite. Nello stesso anno Robert Stigwood cominciò a diffondere capillarmente lo spettacolo nel Nordamerica; nel 1972, l’opera esordì a Londra e venne replicata per 3.358 volte in 8 anni, battendo ogni record. Il 18 febbraio dello stesso anno, a Göteborg, in Svezia, ben 74.000 spettatori applaudirono il lavoro di Rice e Lloyd Webber, che sbarcò trionfalmente anche in Australia.
Fu così che, nel 1973, il regista Norman Jewison decise di trasporre l’opera in un film che sarà un capolavoro e che consacrerà definitivamente i talenti di Ted Neeley, Carl Anderson, e Yvonne Elliman, straordinari interpreti nei rispettivi ruoli di Gesù, Giuda e Maria Maddalena.
Era l’inizio di un successo davvero planetario…
Ho amato quest’opera d’istinto da quando la vidi la prima volta a teatro. Non conoscevo la sua storia e ora grazie a te riesco a chiudere il cerchio. È affascinante leggere questi retroscena e aneddoti che riguardano la nascita di un’opera. Grazie Stefano per queste informazioni preziose che condividi con noi e per come le esprimi ogni volta.
Grazie Stefano per questa avvincente narrazione della genesi di un capolavoro del musical contemporaneo. Pur distinguendo i generi musicali, concordo che la musica può essere buona a prescindere dal suo genere. Quanto sto imparando leggendoti. Grazie di cuore.
Un’opera unica, credo la rappresentazione più conforme alla realtà-materiale e spirituale-di Gesù. Io rimasi affascinato dalla sua trasposizione cinematografica sin dalla fine del 1973, durante il primo anno di Scuola Media. Allora, il film venne bollato dalla Chiesa quasi come “blasfemo”, ma questo non fermò i cittadini nel riempire i teatri e non fermò me dal voler vedere a tutti i costi questa opera, nonostante il divieto ai minori di anni 14 e, soprattutto, nonostante le restrizioni che i genitori di una volta imponevano ai propri figli. A distanza di 30 anni mi trovai a conversare con il direttore di un settimanale diocesano, Don Paolo Busto, della profondità spirituale che trasuda dal film ed anche lui, con mia sorpresa, convenne con me che Jesus Christ Superstar rappresenta un modello di come la società dovrebbe vivere la propria religiosità e il proprio impegno all’interno della società stessa.
Vidi il film e mi piacque molto. Una opera come quella, realizzata negli anni dei “figli dei fiori”, la accolsi come un ottimo messaggio per avvicinare i giovani al messaggio di Gesù.
PS: Stefano ti ho visto su “Sfero” … che ne pensi?
Molto interessante questa testimonianza grazie Stefano a me è piaciuta moltissimo questa opera!