Guerra in Ucraina: la tomba del Diritto internazionale

Il Diritto internazionale viene pubblicizzato dalle diplomazie e dagli organi sopranazionali come un dogma. Infatti, l’appello a questi principi è utilizzato a scopo di “garanzia” assoluta sia per le nazioni che per le comunità. Allo stesso tempo, il Diritto internazionale ha valore fintanto che non viene chiamato in gioco: da quel momento, frequentemente, viene infranto impunemente e con estrema facilità. Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca si assiste, più che a una agonia del Diritto internazionale, alla sua morte. Vladimir Putin, co-artefice dell’innesco di una crisi da trattare con estrema prudenza, ha flagrantemente violato le norme del Diritto internazionale, cercando di dare le sue giustificazioni. Da ricordare l’opera del probabile massone Friedrich Nietzsche, “Del nuovo idolo-Così parlò Zarathustra”, dove ha scritto: “Aprite gli orecchi, perché ora vi dico la mia parola sulla morte dei popoli. Stato si chiama il più freddo di tutti i freddi mostri. Ed è freddo anche nel suo mentire; e dalla sua bocca striscia questa menzogna: “Io, lo Stato, sono il popolo”. È una menzogna!”. Lo scritto di Nietzsche, la cui prima edizione fu pubblicata nel 1883, profetizzava la rotta che le grandi potenze avrebbero intrapreso durante i conflitti mondiali della prima metà del Novecento. È proprio dopo questa data, fine della Seconda guerra mondiale, che in una ottica di “mai più”, si è sviluppato il Diritto internazionale. Ma nonostante i principi e gli obiettivi, la lotta per la sua osservazione è ardua e la impossibilità del suo rispetto ha raggiunto il massimo splendore nella “lettura” del conflitto in Ucraina.

Vladimir Putin, nella sua visione di “accerchiamento”, ha visto nell’ipotetica adesione dell’Ucraina alla Nato un contatto con una Alleanza che raccoglie almeno diciassette volte il suo budget militare. Dopo la Guerra fredda, l’Ucraina ha svolto il ruolo di nazione cuscinetto tra la Russia e l’Occidente. Pertanto, alcune tendenze espansionistiche, unite al timore di vedere l’Ucraina aderire all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, hanno spinto Putin a violare i massimi principi del Diritto internazionale.

Ma quali sono gli accordi internazionali che ha violato la Russia? Schematizzando drasticamente, potremmo iniziare dalla Carta delle Nazioni Unite, dove viene menzionato che l’uso legale della forza da parte di uno Stato, salvo casi di autodifesa, è subordinato alla preventiva autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, secondo le disposizioni del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. In assenza di questo elemento, l’uso della forza resta illegale. In breve, l’articolo 2 (paragrafo 4) della Carta delle Nazioni Unite cita: “I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato e il divieto dell’uso della forza”.

Osserviamo poi la “Jus in bello”, la Legge di guerra, dove “pare” che la Russia abbia violato le disposizioni della norma sui conflitti armati sancite dalle Convenzioni di Ginevra del 1949, dai Protocolli aggiuntivi del 1977 e dallo Statuto di Roma entrato in vigore nel 2002. Il non rispetto del principio di distinzione che proibisce di colpire installazioni civili non utilizzate per scopi militari, come ospedali o asili: questa è un’altra grave inosservanza.

Ma la Russia ha regole in merito? Senza dubbio sì, se leggiamo i testi regionali adottati dalla caduta dell’Urss. Tra questi l’accettazione dello status quo di confine del 1991, i successivi trattati e gli accordi tramite i quali la Russia riconosce l’Ucraina come Stato indipendente all’interno dei suoi confini ereditati dallo scioglimento dell’Unione Sovietica. C’è poi il Trattato di Minsk del 1991, che garantisce alle ex Repubbliche sovietiche il rispetto dei propri confini. Di seguito il memorandum di Budapest del 1994, che ha anche concesso all’Ucraina, Bielorussia e Kazakistan garanzie di sicurezza e integrità territoriale. Nel 1997 fu stipulato il Trattato di amicizia russo-ucraino, che confermò i confini ereditati dai testi precedenti e la loro inviolabilità, in particolare vietando l’invasione reciproca e la dichiarazione di guerra.

Tuttavia, gli alibi russi si basano sui concetti di autodifesa, o come l’interpretazione estensiva dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite che, in questo caso, non può fungere da base giuridica per l’intervento russo a causa del mancato riconoscimento della sua legalità da parte degli organismi internazionali. Questo “alibi” si poggia sull’esempio di Israele che nel 1967, al fine di prevenire imminenti attacchi contro lo Stato ebraico, annientò, bombardandola, l’aviazione egiziana. Oppure la Russia può ergersi a salvatrice delle popolazioni dell’Ucraina orientale, il Donbass: in questo caso l’elemento giustificativo all’uso dell’esercito può verificarsi quando c’è una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Come è avvenuto in Libia, che ovviamente nella fattispecie non c’è.

Analizzando ancora, sappiamo che oggi Mosca vorrebbe consentire l’elevazione delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk al rango di Stati indipendenti. Ciononostante, questo scenario presuppone una secessione di queste entità dall’Ucraina. Ma tale evento sembra impossibile secondo il Dritto internazionale. Allora: quali sono gli scenari che potrebbero consentire l’accesso legale di una realtà socio territoriale al rango di Stato, secondo le vigenti regole del Diritto internazionale? Il primo è “il diritto dei popoli all’autodeterminazione”. Infatti, la risoluzione 1514 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1960, afferma che un popolo sottoposto a “dominio, soggezione e sfruttamento straniero” può rivendicare un diritto all’indipendenza. Ma la popolazione ucraina non rientra in questa casistica. A oggi, l’unico popolo riconosciuto come colonizzato è il popolo palestinese, come confermato dalla Corte internazionale di Giustizia con il suo parere consultivo del 9 luglio 2004 che cita: “Conseguenze legali della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati”.

Il secondo caso è la “secessione”. L’interpretazione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, della Risoluzione 2625 – XXV Sessione – del 24 ottobre1970, consentirebbe a una popolazione sottoposta a estorsioni da parte di uno Stato di separarsi, per garantire la propria incolumità. Tuttavia, anche in questo caso pare che i parametri di gravità e ricorrenza non sarebbero soddisfatti per consentire ai territori di usufruire dell’opzione secessionista. Questa “dottrina” è stata utilizzata solo una volta, a seguito della guerra di liberazione del Bangladesh dal Pakistan, nel 1971, dovuta ai terribili abusi subiti dai bangladesi. In questo caso la secessione dal Pakistan fu legittimata.

Sospendendo momentaneamente su questi punti, in sostanza, secondo l’infranto Diritto internazionale vigente i futuri esiti della “crisi in Ucraina” non potranno apportare variazioni legittime dello status quo. Non ci sono margini per variare né sovranità o “geografia politica” senza calpestare il già martoriato Diritto internazionale. Però il pedaggio umanitario in corso continua a essere pagato.

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